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L'altro volto della speranza

Regia di Aki Kaurismäki vedi scheda film

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L'autore

alan smithee

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La recensione su L'altro volto della speranza

di alan smithee
7 stelle

Ancora una favola che punta sulla tolleranza. Un impeto di urgenza più forte del solito sembra animare l'autore finlandese, che si butta anima e corpo a difendere le sue tesi, senza mai rinunciare al suo stile unico, fuori tempo, fuori dal mondo, forte di inquadrature uniche che ci proiettano nel mondo sospeso, ma molto attuale, dell'emarginazione.

"L'altro volto dell'accoglienza": un cinquantenne finlandese triste e un pò solitario decide di cambiare vita per cercare di dare una svolta ad una esistenza grigia e senza soddisfazione alcuna. Tenta perciò di aprire un ristorante, primo sogno creativo e vitale dopo una vita incolore spesa a fare controvoglia il rappresentante di moda maschile.

Quando davanti al suo locale si trova davanti Khaled, un immigrato siriano, clandestino dopo che la sua domanda di rifugiato politico è stata rigettata, l'uomo decide non solo di aiutare lui, ma anche altri membri della sua famiglia, mettendo su in poco tempo un team piuttosto eterogeneo, impegnato in tutti i modi, e con ogni bizzarria a disposizione, a far partire nel miglior modo l'attività di ristorazione del soccorritore, adeguandola alle mode e alla mutevole richiesta del mercato.

Oltre sei anni dopo l'ottimo, intenso Miracolo a Le Havre, torna il celebre ironico autore finlandese e nuovamente si concentra su una storia di emarginazione, a corollario di un'epoca in cui il fenomeno dell'immigrazione non ha fatto che aumentare, assumendo le drammatiche dimensioni bibliche degli sbarchi-esodo che tutt'ora caratterizzano il quotidiano afflusso migratorio dall'Africa all'Europa.

Da sempre Kaurismaki si è sempre posizionato a tutela, incoraggiamento e difesa dei ceti più disagiati, poveri, indifesi, e il suo stile surreale, ironico, ha saputo spaziare da intensi bianco e neri di vite da bohemien in piena regola, ai colori pastello delle sue opere più recenti, ove i modesti, gli insicuri, e i reietti finivano per assumere la dimensione dei protagonisti contro ogni loro indole e volontà in tal senso.

Una tematica urgente nei confronti della quale l'autore si esprime con tutto se stesso - quasi a voler invocare quanto racconta come l'unico auspicio possibile ed ipotizzabile - a favore di una idea di collaborazione, di rispetto, di tolleranza che, assieme, non possono che costituire la soluzione unica ed ideale per un futuro di pacifica e pure prioduttiva convivenza reciproca.

Un impeto di urgenza ancora più forte  del solito sembra animare l'autore, che si butta anima e corpo a difendere le sue tesi, senza mai rinunciare al suo stile unico, fuori tempo, fuori dal mondo, forte di inquadrature uniche che ci proiettano in un mondo a cui è davvero difficile attribuire una datazione, tanta è la commistione di stili retrò in sede di arredamenti ed oggetti demodé, di insieme di inquadrature di contesti esterni (la macchina nera del protagonista, le stupende scenografie del porto, la fotografia satura e calda che dona un tocco da favola ad una storia che converge nuovamente verso un piccolo miracolo di amore incondizionato verso chi ha bisogno d'aiuto, ma nel contempo sa donarne altrettanto di pari ed esclusivo valore).

Certo Kaurismaki non riesce a dirci nulla di veramente nuovo, soprattutto dopo quello che è stato al centro del precedente Miracolo a Le Havre.

Ma l'autore sa, a differenza di molti altri grandi autori dalla ciclicità ormai sin troppo scontata e convulsa (vedi Allen, per non fare nomi) dosare con scrupolo e una certa calcolata, ma del tutto lecita furbizia, la sua produzione artistica, e dopo sei anni di lunga assenza sa che l'attesa è fisiologicamente arrivata a livelli spasmodici: tempi maturi per approcciarci nuovamente con il massimo interesse ad una sua opera: pazienza che il discorso di fondo sia ormai sempre lo stesso: lo stile di regia resta entusiasmante, e posto che qui la forma probabilmente ha di molto la meglio sulla sostanza (se per sostanza si intende la ricerca di un discorso nuovo di fondo), restiamo, anche di fronte a questo gradevolissimo film, davvero molto favorevoli di fronte all'opera di un regista unico, caratteriale, dalla forte personalità e, nonostante tutto,  difficile da catalogare, da piegare al soldo di chi potesse o volesse imporgli tematiche e argomenti contro ogni personale intuizione e volontà.

Di fronte a ciò pertanto siamo molto ben propensi ad accettare riproponimenti di tematiche alte e di alto valore civico-morale, sapendo che sono preciso e calcolato frutto della mente del suo bizzarro, ma indiscutibilmente grande autore.  

Nel cast primeggiano gli attori feticcio del regista, con Sakari Kuosmanen e Janne Hyytiainen su tutti, e la ormai mitica "fiammiferaia" Kati Ountinen ripete pure questa volta un cameo per noi indispensabile ed altamente prezioso.

Colonna sonora "diversamente" country davvero irresistibile, che contrasta con le atmosfere ovattate che caratterizzano molti dialoghi e duetti tra protagonisti, quasi sempre impagabili, dove al dialogo scientemente essenziale si sostituisce spesso l'atteggiamento, la situazione eccentrica o buffa che esprime ancora meglio i dettagli dell'argomento.

Il Premio alla miglior regia all'ultima Berlinale (Orso d'Argento) appare come coerente, meritato, quasi necessario.

 

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