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Golden Exits

Regia di Alex Ross Perry vedi scheda film

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La recensione su Golden Exits

di mck
8 stelle

La borghesia si barcamena su questo paesaggio umano in cui l'erba è morta e ricoperta di sale pervaso e sfumato dal piacere delle rovine sentimentali, famigliari, affettive, relazionali, ovvero ciò che muove il motore del mondo: il desiderio, ch'è un concetto da romanzo, vale a dire reale, concreto, vero.

 

Forse Alex Ross Perry, giunto all'opera quinta dopo “Impolex”, “the Color Wheel”, “Listen Up Philip” e “Queen of Earth”, ha sfornato con questo “Golden Exits” tanto un film minore - nell'economia del catalogo generale della cinematografia tutta che tutto inquadra ed etichetta per generi - quanto il suo capolavoro. Sicuramente è un film piccolo (come lo è “Magnolia” nei confronti di “Boogie Nights”), ma è altrettanto certo ch'è un bel film: triste, ipnotico, divertente, erotico, commovente: “Mi spiace, ci ho messo tanto a tornare”, e poco importa s'è quella faccia da cazzo di Buddy [Jason Schwartzman: una carriera ventennale alle spalle, con ARP già protagonista per “Listen Up Philip” nei panni di “un” giovane Nathan Zuckerman rothiano (e qui ricompare Ike Zimmerman, lo...Scrittore Fantasma E. I. Lonoff aka Saul Bellow), volto iconico per tanti film di Wes Anderson, a cominciare dal primo per tutti e due, “RushMore”, e poi con altri registi in “I ♥ Huckabees”, “Marie Antoinette”, “Wet Hot American Summer”, “Mozart in the Jungle”] a pronunciarle, queste parole, perché Jess (Analeigh Tipton: “In Dubious Battle”) se le merita tutte, col loro amore. 

 

 

Da Woody Allen - con qualche stringa di codice genetico cassavetesiano innestato - a Noah Baumbach, la (Back in the) New York (esterni ed interni) Groove (Russ Ballard → Ace Frehley → Emily Browning) di fine '90 e inizio '00: “Eyes Wide Shut”, “the 25th Hour”, “In the Cut”, “Birth”…, “mai” ripresa così bene, e viva, e quotidiana, dallo sbocciare della primavera fiorita (gli alberi di Brooklyn passano dai rami spogli al riempirsi delle centinaia di sfumature di verde che l'occhio umano può riconoscere) sino alle porte dell'estate. 

 

 

Cast e comparto tecnico perfetti: certi primi piani di Emily Browning (“Sleeping Beauty” e “American Gods”, e - per i madrelingua e gli allenati, dato che non è caricaturale - il suo accento australiano), Chloë Sevigny (“Kids”, “Gummo” / “Julien Donkey-Boy”, “Boys don't Cry”, “DemonLover”, “DogVille” / “Manderlay”, “the Brown Bunny”, “Melinda and Melinda”, “Broken Flowers”, “Zodiac”, “Big Love”, “My Son, My Son, What Have Ye Done”, “A.H.S.”), Mary-Louise Parker (“Grand Canyon”, “Fried Green Tomatoes”, “Bullets Over Broadway”, “the Portrait of a Lady”, “the Five Senses”, “the West Wing”, “Angels in America”, “Romance & Cigarettes”, “Weeds”, “The Assassination of Jesse James by the Coward Robert Ford”, “When We Rise”, “Mr. Mercedes”) e Lily Rabe (“A.H.S.”) - più una breve apparizione di Kate Lyn Sheil [tutti i film di ARP, molti di Joe Swanberg (qui produttore esecutivo), più “Green”, “Sun Don't Shine”, “the GirlFriend Experience”, “Buster's Mal Heart”, “House of Cards”] - tolgono il fiato, dipinte da un super 16mm di Sean Price Williams (tutto ARP più “Good Time” dei fratelli Safdie) ch'è impressionismo puro, musiche bellissime di Keegan DeWitt (con ARP per “LUP” e “QoE”, e poi “the Hero” e “Bokeh”), montaggio di Robert Greene (con ARP per “LUP” e “QoE”, e regista di vari documentari tra cui “Actress” e “Kate Plays Christine”, quest'ultimo fotografato e musicato da SPW e KDW) ch'è punteggiatura (dissolvenze/assolvenze) viva. A completare il cast il co-protagonista catalogatore / inventariatore / estimatore d'eredità, lasciti ed opere omnie Adam Keefe Horovitz (si, lui) aka King Ad-Rock (si, lui, ho detto), già per Noah Baumbach in “While We're Young”. Auto-“Sabotage”. Un'ultima nota di merito, come sempre per ARP, ai titoli di testa, by Chips.  

 

[Beastie Boys ←↔→ Philip Roth]


In campo per un'ora e mezza ben spesa la media borghesia ripresa nel suo intero spettro che va dalla working-middle alla middle-upper class a barcamenars'in questo paesaggio umano pervaso e sfumato dal Pleasure of Ruins sentimentali, famigliari, affettive, relazionali in cui “[the] Grass is Dead, Covered with Salt”, ovvero ciò che muove il motore del mondo: «“Desire”: that's a Novel's Concept”», vale a dire reale, concreto, vero.  

 


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