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Good Time

Regia di Ben Safdie, Joshua Safdie vedi scheda film

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La recensione su Good Time

di maurizio73
4 stelle

Arruolando attori non professionisti, ma con il fondamentale supporto artistico dell'ex divo di Twilight, la storia dei Safdi Bros porta con sé lo slancio di un'esperienza sul campo competente e sincera ma anche le derive di un intimismo ricattatorio inevitabilmente fuori registro e di un minimalismo narrativo che gira molto spesso a vuoto.

Trascinandolo via dal programma di rieducazione e supporto psicologico cui è sottoposto, l'irrequieto e irresponsabile Connie coinvolge lo psicolabile fratello Nick in una rapina in banca che si conclude con l'arresto di quest'ultimo. I tentativi di liberare il fratello condurranno l'uomo lungo una maratona notturna fatta di azioni avventate, incontri a sorpresa e rischi poco calcolati, fino all'inevitabile epilogo che li fa ritornare alla casella di partenza.

 

locandina

Good Time (2017): locandina

 

Safdi Bros from the Blocks

 

Le rocambolesce vicissitudini della microcriminalità newyorkese fanno da sfondo all'ennesima variazione sul tema dei fratelli Safdie, da tempo inseriti nei circuiti festivalieri che contano (Venezia, Toronto e Cannes) grazie all'allure autoriale di produzioni indipendenti che contaminano il realismo provocatorio alla Larry Clark con l'iperrealismo di scelte tecniche fatte di ritmi sincopati, colori saturi e preponderanti commenti sonori.
Arruolando attori non professionisti, ma con il fondamentale e volontario supporto artistico del divo di turno convertitosi alla causa del cinema sperimentale con ritorno di marketing, la storia di due figli della Grande Mela che parlano di altri due figli disadattati from the same blocks, porta con sè lo slancio di un'esperienza sul campo competente e sincera ma anche le derive di un intimismo ricattatorio inevitabilmente fuori registro e di un minimalismo narrativo che gira molto spesso a vuoto. Se l'esilità del soggetto originale viene furbescamente fatta risalire alla buona condotta (il Good Time del titolo) grazie alla quale Buddy Duress, attore di strada protagonista del precedente Heaven Knows What, sperava di salpare da Rikers Island per approdare alle premiere festivaliere del film dei Safdie Bros e la sua promozione alla narrazione dell'insistenza con cui Robert Pattinson si sarebbe proposto ai due, lo spunto più originale di questa operazione cinematografica sta proprio nell'estemporaneità della sua messa in scena: un modello che finge di aderire all'epica di strada dell'action movie metropolitano per concentrarsi invece sulle sfumature di un rapporto fraterno a base di disadattamenti familiari, fragilità personali e dipendenza reciproca, e puntando quindi sulla convincente adesione al ruolo dei suoi interpreti principali che, oltre al già citato Duress, annoverano l'idiot non savant di un catatonico Benny Safdie ed il maledettismo senza causa dell'ex divo di Twilight dalla tinta facile. Operazione imperfetta che sacrifica la compiutezza di una storia canonica sull'altare di uno scimmiottamento di originali modelli indie, laddove però la profondità delle caratterizzazioni psicologiche sembrano decisamente abbozzate come pure lo è la coerenza di comportamenti contraddittori che vanno dalla generosità della zitella disperata di una imbruttita Jennifer Jason Leigh all'egocentrismo di un protagonista principale che sembra sfruttare strumentalmente il proprio charme per un ideale di vita non meglio precisato. Molta forma e poca sostanza insomma per un film che ha fatto spellare le mani a pubblico e critica al festival di Cannes 2017 e che rimane, a detta di chi scrive, un'esperienza cinematografica per cui non vale la pena sacrificare il nostro tempo migliore.

 

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