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All That Divides Us - Amore criminale

Regia di Thierry Klifa vedi scheda film

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La recensione su All That Divides Us - Amore criminale

di gaiart
7 stelle

Una chiacchierata con il simpatico regista Thierry Klifa mi ha reso ancora più interessante questo film, che direi incentrato su una cosa molto diffusa oggi, data la fragilità della società e delle persone che la abitano: le dipendenze.

TOUT NOUS SÉPARE

 

ALL THAT DIVIDE US

 

Una chiacchierata con il simpatico regista Thierry Klifa mi ha reso ancora più interessante questo film, che direi incentrato su una cosa molto diffusa oggi, data la fragilità della società e delle persone che la abitano: le dipendenze.

 

 

 

 

La figura e il ruolo di Catherine Deneuve in TOUT NOUS SÉPARE è infatti quello di una madre forte, potente, elegante (oltre che intramontabile in stile e professionalità) a cui viene associata e contrapposta Julia, altrettanto bella, (Diane Kruger), una figlia che, a causa di un’incidente è resa disabile e, ahimè dipendente: da sesso, medicamenti e droghe. Oltre che ovviamente dalla protettiva madre.

Parola chiave del film è Virago, un termine generalmente utilizzato per indicare una donna che, nell'aspetto fisico e soprattutto nel pensare e nell'agire, ha tratti significativi del sesso maschile, pur conservando una forte sensualità tipicamente femminile.

Il termine che deriva dal latino vir ('uomo') aveva connotazione positiva in contesto mitologico, in cui venivano descritte delle donne eroiche.

E qui l’eroina ha tutte queste caratteristiche. Forse “alcune” donne salveranno il mondo, sembra ammettere il regista.

 

Un noir d’intensità, carisma con una storia avvincente che spazia su tematiche vere, attuali, quali la violenza della periferia francese, le gang, l’emarginazione, le banlieue integrate e portuali che spaziano da Marsiglia a Sète.

Qui siamo a sud, al mare, in un panorama selvaggio, che svolge un ruolo tranquillizzante e calmante e funge da via d’uscita a scene un po’ crude e pesanti.

E dal grande al piccolo, si passa da scambi sociali a dinamiche familiari; la liason tra una madre e una figlia, che vive di sviluppi di poteri opposti a quelli esterni della società; là coercizione, qui protezione. Là fuori violenza, qui tenerezza. Là solitudine, qui ascolto.

 

Il film sembra proprio riflettere anche su questo doppio binario di svolgimento; le realtà pubbliche, fredde, assassine, spietate e quelle interne invece, familiari, dove si è protetti e dove ognuno vive del suo e per il proprio benessere e tornaconto.

Esattamente come le realtà odierne, dove il diverso da noi è l’altro. E chi se ne frega.

 

Ma è anche una storia di generosità e comprensione dove, un’anima stoica, quella di Deneuve madre, riesce con coraggio a impugnare un’arma, a proteggere, anche in senso psicologico, metaforico e ad agire nei confronti di un ragazzo sbandato, ricattato da mafie locali che vuol fare il bullo, ma non ne ha il physique du rôle.

Egli infatti piange quando gli muore il cane, si commuove guardando la foto della sua bambina che non può più vedere e abbraccia spesso a sua volta sua madre, ma è costretto, forse anche da società sbagliate, a vivere di criminalità.

Il contesto borghese di Julia e Deneuve che vivono in una villa mozzafiato a dispetto dei palazzoni di periferia, ma vista mare, dove abita il coprotagonista Ben, mette chiaramente in luce “le cose che ci separano” non solo economiche, non solo tra madre e figlia, ma anche quelle che si hanno in comune con chi è per noi apparentemente uno sconosciuto.

 

 

 

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