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Tre manifesti a Ebbing, Missouri

Regia di Martin McDonagh vedi scheda film

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La recensione su Tre manifesti a Ebbing, Missouri

di Malpaso
8 stelle

Tre manifesti a Ebbing, Missouri vive della qualità dei dialoghi e del tono di profondo irrealismo di cui quest'ultimi intridono la pellicola.

Non c'è niente di tanto profondamente americano, cinematograficamente parlando, quanto il genere western e ad esso bisogna tornare quando si vuole raccontare il vero cuore pulsante del paese a stelle e strisce, al di là delle megalopoli imborghesite e illusoriamente poste come modello della way of life statunitense. Ci pensò David Mackenzie un anno fa con l'ottimo Hell or High Water e ci torna Martin McDonagh con questo suo ultimo lavoro, Tre manifesti a Ebbing, Missouri.

 

Ma senza addentrarci subito nel merito del film, una cosa fondamentale va detta: McDonagh non è statunitense, ma britannico. Per sua stessa ammissione l'intento non era quello di offrire un punto di vista esterno all'America rurale e, a conti fatti, l'opera pare scritta e diretta da un autore vicino alla realtà raccontata (leggasi fratelli Coen, con la complicità dell'attrice feticcio Frances McDormand). Eppure, la firma del regista e sceneggiatore inglese si palesa nella scrittura, debitrice all'attività di commediografo che ne costituisce gli esordi e una carriera parallela a quella cinematografica.

 

Non a caso Tre manifesti a Ebbing, Missouri vive della qualità dei dialoghi e del tono di profondo irrealismo di cui quest'ultimi intridono la pellicola. Forte di uno spunto geniale e polemico, ovvero l'affissione di tre manifesti atti a mettere in discussione l'attività del dipartimento di polizia di una piccola cittadina scossa dallo stupro di una ragazza, McDonagh racconta tanti drammi umani con un registro grottesco, tendente a sfociare nell'assurdo. Non vi è alcun fine morale nell'opera: il regista non dà giudizi e non pone domande. Il risultato è un affresco di una realtà sociale volutamente inconcepibile, dove la follia dei singoli individui finisce per trasformarsi nella normalità del collettivo. Una commedia nera dai tratti pulp.

 

Peccato che il film abbia degli evidenti problemi di ritmo e la durata sia leggermente eccessiva, il che potrebbe provocare facilmente un drastico calo d’interesse nello spettatore vista anche la secondarietà della trama. Strepitosi invece gli attori, capitanati da una McDormand in stato di grazia ed un Sam Rockwell sorprendente, agevolati sicuramente da quello che è uno dei maggiori pregi della sceneggiatura di McDonagh: lo sviluppo dei personaggi. Gli abitanti di Ebbing infatti cambiano radicalmente lungo l’intero arco narrativo, plasmati dalla rabbia e il dolore, ma soprattutto da un inaspettato atto di sincero affetto, unico in tutta l’opera, e ancor più significativo perché in risposta alla morte imminente del responsabile stesso di tale azione.

 

E proprio in questo passaggio si ha la chiave di volta di Tre manifesti a Ebbing, Missouri: il perdono, dell’altro e di sé, quindi la redenzione. Uno spiraglio di speranza all’interno di una visione estremamente nichilista, la possibilità di cambiare all’interno di un mondo fermo e stanco, che non può che essere rappresentato con gli stilemi di un genere, il western, ancorato a tempi ormai finiti.

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