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Tre manifesti a Ebbing, Missouri

Regia di Martin McDonagh vedi scheda film

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La recensione su Tre manifesti a Ebbing, Missouri

di marcopolo30
10 stelle

Straordinario incrocio di dramma e thriller che fonda le proprie fortune su una regìa illuminata, una sceneggiatura d'acciaio (entrambe firmate Martin McDonagh) e un trio di interpreti da urlo formato da Frances McDormand, Woody Harrelson e Sam Rockwell. VOTO: 10

Dovendo classificare un film secondo il genere, quale sarebbe, in film che contengono elementi di entrambi, la linea di demarcazione tra il dramma e il thriller? Dopo aver visionato “Tre manifesti a Ebbing, Missouri” tale domanda acquisice un certo peso e la risposta non viene affatto facile. Di solito la bilancia pende chiaramente nell'una o nell'altra direzione. Non qui. Alla sua opera terza dopo l'ottimo “In Bruges” e il meno brillante (parere mio) “7 Psicopatici”, Martin McDonagh firma (già) il suo capolavoro, scrivendo e portando in scena una sceneggiatura impeccabile sia sul piano drammatico sia su quello thriller, con personaggi che si sviluppano, che in un certo senso crescono con l'incedere della storia e del film, e con colpi di scena copiosi e nient'affatto banali, scontati o forzati. La vicenda prende il la con i tre manifesti del titolo, affissi da Mildred Hayes, una madre addolorata per la violenta perdita della figlia ma comunque estremamente battagliera. Sui tre enormi cartelloni si questiona l'operato della polizia sul caso e in particolare l'assoluta mancanza di risultati concreti. La sopracitata madre è interpretata da Francis McDormand, la cui performance è stata lodata e incensa praticamente all'unisono e le è infatti valsa l'Oscar come migliore attrice protagonista. Agli antagonisti prestano invece i volti due attori che adoro: Woody Harrelson e Sam Rockwell. Per loro nomination come migliori attori non protagonisti, ed è qualcosa davvero desueto che dallo stesso film arrivino due dei cinque candidati per una medesima statuina. La vittoria fu infine per Sam Rockwell. Ma andando al di la di sceneggiatura e interpretazioni, v'è anche il sagace uso che McDonagh fa della camera da presa, alternando il tipo di riprese, al pari di un grande direttore d'orchestra, a secondo del momento e di ritmo ed effetti desiderati. Si pensi ad esempio alla scena in cui Dixon/Rockwell, accecato dall'ira, esce dalla stazione di polizia, attraversa la strada, sale le scale che portano alla locale agenzia pubblicitaria (quella che aveva venduto i tre manifesti a Mildred) e, ok, non scrivo cosa fa per evitare spoilers, ma il punto è che durante tutta la scena la macchina da presa sta cucita addosso al soggetto, giacché tale scelta rende alla perfezione lo stato d'animo turbato e accelerato di Dixon. Un tocco di classe, insomma. Nel complesso direi uno dei migliori prodotti dell'ultimo decennio, che alla già citata notte degli Oscar perse però il premio più ambito, finito invece un po' a sorpresa a “The Shape of Water” di Del Toro. Benissimo al Box Office, con 160 milioni incassati contro poco più di 12 investiti. Una vera manna per la Fox Searchlight Pictures detentrice dei diritti.

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