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Regia di Andres Muschietti vedi scheda film

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La recensione su It

di alan smithee
7 stelle

 

CINEMA OLTRECONFINE

Prima o poi doveva succedere: ovvero accadere che il suo romanzo cult -  forse il migliore, o quello che, nelle sue oltre milleduecento  pagine di lunghezza, racchiude tutte le ossessioni, i disagi, le paure e le dinamiche esistenziali che premono a quel grande scrittore che è Stephen King - trovasse finalmente una degna celebrazione cinematografica.

Una trasposizione che, al di là del fulcro fantastico e maligno che regola tutto il corso della vicenda, rendesse palpabili i disagi esistenziali - reali e palpabili in ogni epoca ci si possa riferire tra libro e film - che affliggono molta parte della gioventù, specie se, per via di alcuni fattori, essa è relegata al ruolo di perdente all'interno di una società classista dove domina il più forte, il più sprezzante, il più cinico, come all'interno di un branco di lupi, non affamati fisicamente in questo caso, ma a livello di potere, arrivismo e volontà di supremazia.

Il giovane regista argentino Andrés Muschietti ci riesce pienamente, ve lo anticipo.

In questa che è la sua prima e piuttosto fedele parte di un dittico (circostanza al momento non apertamente dichiarata, se non alla fine del film, probabilmente per tener fede a strategie di ordine e natura commerciale), dedicato ora alla fase adolescenziale, di un romanzo-fiume complesso e sfaccettato che alterna le vicisistudini di sette medesimi protagonisti a 27 anni di distanza, legati e condizionati da una minaccia che li ha marchiati da adolescenti, e li ritrova all'età di quarant'anni, altrettanto minacciosa e letale, Muschietti, con la sua regia elegante e mobile che rincorre i particolari, i suoi protagonisti, e candenza brividi con precisione millimetrica in grado di lasciare il segno ogni volta (le urla ed i sobbalzi in sala non si contano più alla fine), ci immerge in una società di metà anni '80 ove crescere, tenere il passo con l'arroganza di chi domina la vita di classe e del tempo libero, genera di per sé già traumi che rimangono indelebili.

Se poi a tutto ciò sia aggiunge una figura maligna che addensa dentro di sé il male antico sprigionato in diversi episodi inquietanti del passato, che ritorna con cadenza matematica per mietere altre vittime innocenti a puro ludibrio personale ed indiscriminato (il buon Jeepers Creepers ha di certo attinto da questo spunto geniale kinghiano), oltre che impunito, ecco che il panorama tetro ed inquieto di questa gioventù segnata dall'ordinario (l'arroganza dei capi branco) e dallo straordinario (il pagliaccio maligno che appare in diverse occasioni e a volte sembianze differenti ai sette protagonisti), diventa sinistramente palpabile, urgente, impellente.

Muschietti sceglie di ambientare il passato della vicenda, ovvero quello che qui ci occupa, in quello che nel libro, ultimato nel 1986, diventava il presente, in modo da raggiungere i nostri giorni col secondo episodio che seguirà e nel quale troveremo i nostri ragazzi ormai quarantenni.

La parabola della cattiveria, della corruzione dilagante, dell'inedia, indolenza e della scelleratezza viscida del mondo degli adulti, che ricade inevitabilmente come un macigno e va a compromettere l'innocenza, la spontneità e il naturale ottimismo della gioventù ancora per poco pura, è reso in modo esemplare, anche grazie alla versatilità di sette attori bambini tutti molto bravi ed espressivi, ognuno nella sua parte impegnato a giorstrarsi con una famiglia di mostri, o di brava gente piegata dal lutto delle sparizioni indiscriminate e misteriose di adolescenti.

Muschietti e i suoi scenografi lavorano di fino sulla ricostruzione degli ambienti, sia esterni (le location della cittadina, la natura aperta e lussureggiante che la circonda, i particolari del bellissimo incipit dell'inseguimento della barchetta da parte della piccola giovane vittima) che interni (la casa del maligno, le fogne ove si annidano i demoni e che confluiscono in un limbo senza gravità ove un grappolo di vittime aleggia a spirale librandosi nello spazio - immagine e sequenza  davvero molto bella ed affascinante), e la sceneggiatura scandisce con lodevole profondità quasi ognuno dei sette differenti protagonisti, ciascuno alle prese con il difficile compito di crescere in un contesto che li dà già in partenza per vinti ed oppressi.

Il male fine a se  stesso, in quanto facente parte della razza umana e ad essa sopravvivente ed ereditabile di generazione in generazione come un cupo doloroso fardello, trova qui nel pagliaccio malefico e tentatore - un vero e proprio colpo di genio del King scrittore - un nemico molto ben reso, complesso, inquietante come raramente succede ad un personaggio che, diversamente, potrebbe risultare fuorviante o sopra le righe: qui il demonio assume aspetti mutanti, a volte sino malignamente cangianti (al ragazzo ebreo appare sotto forma di un ritratto di donna alla Modigliani, storpiato da un ghigno deforme e sinistro che rende l'apparizione ancora più impressionante di quella a volte bonaria e sarcastica del bavoso e volgare pagliaccio originario), e si insinua nelle singole sfaccettature esistenziali dei sette ragazzi, andando a minare le già loro vacillanti sicurezze verso un avvenire incerto più che mai e funestato dal dolore e dalla consapevolezza di non farcela.

Il regista pare giostrarsi molto bene con questo cast adolescenziale, che riesce a far brillare e a rendere senza troppi patetismi o luoghi comuni già usurati dal tempo e da altre pellicole del passato: un atteggiamento ed un approccio che ricorda quello di Spielberg nei suoi famosi e milionari film (da regista o anche solo da produttore) con al centro un gruppo di adolescenti (Et soprattutto, ma pure in parte Goonies), ma anche, restando in zona King, quell'eccellente adattamento pieno di sfumature ad opera del fine Rob Reiner de Stand by me-Ricordo di un'estate.

All'anteprima francese del 15 settembre 2017, il pubblico è accorso, per quanto riguarda la città di Nizza, in gran massa, occupando completamente le due grandi sale che gestivano l'evento, addirittura affollando in un caso, il centralissimo Boulevard Jean Medecin con una coda come non si era vista da tempo.

It, confortato da ottimi incassi oltreoceano, potrebbe costutuire una delle sorprese dell'anno, e l'apice di un ritrovato cinema horror che punta alla platea indiscriminata senza rinunciare alla sua essenza.

 

 

 

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