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Borg McEnroe

Regia di Janus Metz Pedersen vedi scheda film

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La recensione su Borg McEnroe

di marcopolo30
7 stelle

Buon biopic sul mito del tennis Björn Borg e sulla sua nemesi John McEnroe. Il film ha forse il difetto di dedicare troppo spazio al primo, ma è questa d'altronde una produzione scandinava, e rende comunque bene il carattere e il dramma interiore dei due atleti. VOTO: 6½

 

Siamo nel 1991. Il sottoscritto ha diciassette anni e il pallinno del tennis, attività a cui dedica infinitamente più tempo che non a Dante e all'algebra (per la somma gioia di suo padre...). Björn Borg è invece un ex-giocatore nonché mito e leggenda, inattivo da ormai otto anni e che, per questioni anagrafiche, il già citato adolescente non ha mai avuto il piacere di vedere in azione. Notizia bomba: al torneo di Montecarlo Björn Borg sarebbe rientrato nel circuito ATP. Finalmente avrei visto in azione il mito dei miti. Sorteggiato al primo turno contro Jordi Arrese, buon giocatore spagnolo ma non certo un fuoriclasse. Il match era stato programmato nella tarda mattinata (altri tempi, oggi nessuna TV si lascerebbe bruciare dagli organizzatori un evento così succulento in una fascia oraria tanto modesta). Chiesi a mio padre di poter restare a casa per vedere il match in diretta. Assenza scolastica per motivi... passionali. Mio padre rispose picche e così non mi rimase che programmare il videoregistratore e sperare che nessuno tra scuola e viaggio in autobus mi rovinasse la sorpresa dicendomi il risultato. Non successe. Nessuno aveva saputo il risultato (altri tempi #2). Press Play on Tape. I due giocatori scendono sul campo centrale del Country Club di Montecarlo. Arrese vestito ed equipaggiato in linea con l'anno 1991, Borg preso invece di peso da un qualche poster anni '70, racchetta in legno inclusa, e trasportato al presente da una macchina del tempo. Solo per perdere 6-2 6-3. Dolore. Il mio eroe e mito dell'infanzia distrutto in poco più di un'ora da un qualunque mortale. Ecco, questo è il Björn Borg che mi è toccato conoscere. Per fortuna il film dell'esordiente danese Janus Metz non ci parla del sopracitato, inspiegabile suicidio di un semi-dio, ma piuttosto di come tale eroe era invece venuto al mondo (del tennis) e di come la sua rivalità con John McEnroe nacque. Due giocatori e persone agli antipodi. Glaciale, misurato e inviso ai suoi colleghi l'uno, al punto che un altro grande dell'epoca, Jimmy Connors, dichiarò che pur di impedirgli la conquista del Grande Slam sarebbe andato a giocare in Australia a dicembre, in un'epoca in cui nessuno dei migliori prendeva parte all'Australian Open, qualora Borg avesse già vinto gli altri tre tornei dello Slam. Scontroso e irascibile l'altro, tanto da essere entrato nella storia del tennis -oltre che per i suoi divini colpi- come il primo giocatore professionista ad essere espulso da un incontro, accadde agli Australian Open del 1990. Il merito maggiore del film è secondo me proprio l'aver reso benissimo tali caratteri, tanto apparentemente distinti quanto intimamente agitati dai medesimi demoni, nonché l'aver scelto due interpreti, Sverrir Gudnason e Shia LeBoeuf, perfetti per i ruoli. Non male anche la resa del match clou di tale rivalità, la finale di Wimbledon del 1980, con azione e tecnicismi ridotti al lumicino. Una scelta criticata da molti appassionati (di tennis) eppure l'unica davvero viabile a mio modo di vedere le cose. Dove invece il film vacilla un po' è nella sproporzione di minutaggio dedicato a Borg rispetto a quello riservato a McEnroe. E qui entriamo in questioni di puro marketing: il film, 'internazionale' sulla carta, è in realtà è una produzione nordica più svedese di IKEA e il cui titolo originale non è “Borg vs. McEnroe” ma più semplicemente “Borg”. Differenza non di poco conto. Non solo. Alcuni dettagli della realtà sono stati modificati al solo scopo di garantire una maggiore quantità di dialoghi in lingua svedese, si pensi alla fidanzata/promessa sposa svedese che nella realtà era invece la tennista rumena Mariana Simionescu, con la quale dubito che Borg comunicasse nella di lui lingua madre. Altra stranezza 'collaterale' è l'aver affidato a un attore inglese (Robert Emms) il ruolo di Vitas Gerulaitis. Questo, al pari del misterioso svedese della Simionescu, sarà stato probabilmente piallato dal doppiaggio, ma nell'originale stona non poco ascoltare un americano di New York parlare con chiaro accento british. Nel complesso siamo comunque di fronte a una buona pellicola, soprattutto tenendo a mente che il tennis al cinema è notoriamente soggetto poco malleabile.

 

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