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Borg McEnroe

Regia di Janus Metz Pedersen vedi scheda film

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La recensione su Borg McEnroe

di giurista81
7 stelle

Primo lungometraggio diretto dal danese Janus Metz (Pedersen), regista classe 1974 proveniente dal circuito televisivo (tra le varie cose ha diretto un episodio della fortunata serie True Detective, nel 2015) e specializzato nei documentari e nei cortometraggi. 

Preme subito sottolineare come si tratti di una coproduzione che unisce la quasi totalità delle nazioni scandinave, senza far rimpiangere produzioni americane (già grande successo in questo). Svezia, Danimarca e Finlandia si sforzano in una produzione dal modesto budget (poco più di sei milioni e mezzo di euro) per rendere omaggio a due dei più grandi tennisti della storia: il glaciale Bjorn Borg e il monello John McEnroe.

 

Chiamato al compito di tramutare in cinema i fatti reali, in particolare il torneo di Wimbledon che consegnò Borg alla leggenda, con il suo straordinario quinto successo consecutivo, è lo svedese  Ronnie Sandahl, solitamente impegnato nelle regie. La forte matrice svedese porta produzione e sceneggiatore a concentrarsi in maggior misura sul connazionale che ha preso per mano la Svezia e l'ha condotta sull'olimpo dello sport con racchetta. Il film è costruito usando come filo conduttore il torneo di Wimbledon 1980, per poi piazzare una serie di flashback sul passato dei due sportivi attorno ai quali ruota la vicenda. Se il personaggio di Borg, interpretato da una magnifico Sverrir Gudnason (al film che potrebbe aprirgli le porte di Hollywood), è fedelissimo all'originale ed è sviscerato in modo maniacale tanto da farne una sorta di nevrotico ipocondriaco, quello di McEnroe è più sfumato. Il ribelle americano (personificato dall'esperto Shia LaBeouf) viene presentato, sul campo, come un tennista un po' indisciplinato ma che tutto sommato non si abbandona a gesti troppo plateali (a parte la scena in cui se la prende con i piccioni o quella in cui inveisce contro il pubblico). Nella realtà McEnroe era molto più tremendo di quanto mostrato, basti ricordare che l'anno successivo a quello narrato dal film vinse la finale contro Borg e protestò con gli organizzatori (dopo aver dato della feccia del mondo agli arbitri) e soprattutto con l'estabilishment del movimento, presentandosi al cospetto della viscontessa di Spoelberch che gli porgeva il trofeo, senza tirarsi fuori le mani di tasca, disertando poi la cena di gala di fine torneo e facendo l'inchino al cospetto dei reali della corona a gran fatica. Atteggiamenti che gli costarono l'ostracismo dei nobili e dei duchi d'Inghilterra che insorsero con il più classico "MA COME SI è PERMESSO...?" oltre che rifiutargli la qualità di membro onorario del club come spettava a ogni vincitore di Wimbledon. Un personaggio per cui fu detto che "il regolamento prima di McEnroe  era di cento pagine, dopo è diventato di duecentocinquanta". Un giocatore con il quale ogni partita si trasformava in show, sia per la tecnica sul rettangolo di gara sia per i teatrini che montava con arbitri, avversari, cameraman e pubblico. Ne aveva per tutti il buon vecchio McEnroe, specie per le sue racchette che provvedeva a distruggere sbattendole a terra, tra un urlo e un pianto, in un'isteria generale che lo aiutava a trovare la giusta concentrazione (e a farla perdere agli avversari).

 

E' interessante vedere come il film suggerisca che gli atteggiamenti di McEnroe, che esterna la sua rabbia agonistica e la sfoga con le sue intemperanze, fossero propri anche del giovane Borg prima che venissero stemperati e incanalati dal suo allenatore. Se McEnroe non ha tradito la propria persona facendo sì che il fuoco interiore esplodesse all'esterno a ogni match, Borg ha imparato a reprimere i propri impulsi con conseguenze apparentemente positive ma letali nel lungo periodo. Mentre il primo è smargiasso e sicuro di sé pur abbandonandosi a comportamenti infantili, nella sua isteria (che non trova riscontro fuori dal campo, almeno nel film), l'altro è complessato, disinteressato a ciò che lo circonda e persino alla sua fidanzata (la tennista rumena Simionescu) che sta lì e soffre con lui perché sembra che debba esserci per mantenerlo tranquillo e non perché Borg provi qualcosa per lei. Un personaggio quello di Borg tratteggiato in modo meticoloso, dettagliato, che sembra accarezzare sempre la via che lo potrebbe condurre al suicidio (come ha giustamente suggerito Andrea Scanzi) così come quella che offre la gloria, schiavo di assurde superstizioni e vittima di rituali che devono esser eseguiti onde evitare uno stato di blocco psicologico (si veda la scena con i giornalisti argentini). Un uomo costretto a seguire una procedura di avviamento completata la quale rende assai difficile il confronto per gli avversari. Un soggetto che è sempre sul costante punto di crollare e poi risorge, implacabile nel suo mutismo e nel suo procedere alla stregua di un cyborg.

 

Il regista riesce nell'impresa, non facile, di scongiurare la noia grazie a un sapiente uso della macchina da presa con montaggio veloce e frammenti di partite ben ricostruite con riscontro delle immagini d'epoca (eccezionale tie break che introduce l'ultimo e combattutissimo set della finale tra i due eroi del film). Più che un film d'azione però, come a esempio è Rush di Ron Howard, qua si scava sul versante psicologico, si cerca di far capire agli spettatori quanto peso possa gravare alla salute mentale di un atleta la costrizione di vincere (perché tutti si aspettano questo e perché perdere equivarrebbe a dire che si è finiti), che non può girare liberamente per le vie perché riconosciuto da tutti e che non può neppure organizzare la propria vita per soddisfare le esigenze degli sponsor e onorare i contratti. Non a caso Borg si ritirerà giovanissimo intraprendendo una strada che lo condurrà a un tramonto poco felice tra donne scelte per la loro bellezza esterna e tentativi di suicidio. Il suo ritorno alle gare, a otto anni di distanza, sarà triste e cialtronesco.

 

In definitiva un buon film biografico (incentrato soprattutto su Borg), gestito con flashback calibrati che mostrano le adolescenze dei due tennisti, che punta molto sulla caratterizzazione dei personaggi non disdegnando qualche scambio a effetto (emozionante la ricostruzione della finale). Ottima la scelta degli attori, ma anche la ricostruzione delle scenografie e dei costumi. Il giudizio aumenta di voto se si considera il fatto che si tratta di un film scandinavo, cosa che non si percepisce affatto. Buon film, ma credo che definirlo tra i migliori in senso assoluto in ambito sportivo sia un po' esagerato. Consigliato anche a chi non sia un patito del tennis.

 

 

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