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L'ultimo uomo della Terra

Regia di Ubaldo Ragona, Sidney Salkow vedi scheda film

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La recensione su L'ultimo uomo della Terra

di munnyedwards
8 stelle

 

La genesi produttiva di questo piccolo/grande film è talmente complessa che per analizzarla a dovere servirebbe un documentario apposito o un film sul film, per quanto mi riguarda mi limiterò ad evidenziare come la co-produzione italo-americana abbia per anni attribuito l’opera a Ubaldo Ragona quando invece il film fu diretto dal regista americano Sidney Salkow.

Il famoso romanzo di Matheson I am Legend venne inizialmente opzionato dalla allora nascente Hammer (anche se non era ancora la Hammer dei successi horror), la quale chiese allo stesso scrittore un adattamento del suo libro, Matheson lo fece ma la censura inglese e poi quella americana lo bloccarono.

Alla fine il plot di Matheson fini nella mani del produttore Robert Lippert che anni dopo grazie ad una co-produzione con l’italiana Produzioni La Regina mise in piedi il film e lo girò interamente in Italia, per la precisione a Roma (zona EUR) nel 1963.

Questa a grandi linee la storia produttiva, solo qualche accenno ripreso dall’interessante libricino di 30 pagine (firmato Silvia Moras) presente nella splendida edizione speciale a 2 dischi della RHV, edizione questa super consigliata a tutti gli appassionati del film e ai cultori del genere.


locandina

L'ultimo uomo della Terra (1964): locandina

 

L’ultimo uomo della terra è il primo adattamento cinematografico del romanzo I am Legend, e senza alcun dubbio è anche il piu fedele all’opera originale, ma questo non per merito dello scrittore americano visto che il suo plot iniziale fu in seguito modificato da William Leicester tanto da spingere Matheson (che non voleva neanche Vincent Price) a tirarsi fuori dal progetto utilizzando lo pseudonimo di Logan Swanson.

Il romanzo nel corso degli anni ebbe altri due adattamenti cinematografici, uno firmato Boris Sagal con protagonista Charlton Heston (1975 Occhi bianchi sul pianeta terra uscito nel ‘71) e l’altro a firma Francis Lawrence con Will Smith nel ruolo di Neville (Io sono leggenda uscito nel 2008), nessuno dei due si avvicina per fedeltà e coerenza all’opera originaria e quindi al film di Salkow, che molto piu degli altri riesce a trasportare sullo schermo il senso di spaesamento e sofferenza del protagonista, e la sua lotta contro un mondo perduto e dominato da una nuova e pericolosa specie mutata.

 


 

Il Dott. Robert Morgan (Vincent Price) è l’ultimo rappresentante del genere umano, vive una vita senza speranza fatta di giorni tutti uguali, di una monotonia mortuaria che si ripete costante come il sorgere del sole e il tramonto dello stesso, giorno e notte scandiscono la sua vita, o quello che ne resta.

Di giorno la sua attività principale è quella di vagare per la città deserta cercando i mutati vampirizzati che si nascondono nel buio, li cerca per ucciderli con paletti di legno che si autoproduce e poi li carica sulla sua auto (un carro funebre) e li getta in una grossa fossa comune dove il fuoco ne brucia i corpi.

L’origine dell’epidemia che ha sterminato il genere umano non viene spiegata, attraverso dei flashback il regista Salkow racconta la vita passata del Dott. Morgan, le prime voci di un possibile contagio portato dal vento e poi la perdita della piccola figlia e della moglie, il dottore insieme al suo collega Cortman (Giacomo Rossi-Stuart) cercano una cura ma quando cominciano a girare voci incontrollate di morti che tornano dalle tombe Morgan si dimostra subito scettico, si ricrederà poi nel peggiore dei modi.

 

 

Esteticamente il film ha un indubbio fascino, la storia dovrebbe essere ambientata in una città americana ma le location romane creano un senso di spaesamento ancora piu forte, vedere Vincent Price vagare per le strade deserte colpisce e stordisce, proprio perchè nella forma della rappresentazione c’è un forte contrasto, magari non voluto, ma di sicuro effetto.

Altro elemento curioso è la presentazione dei vampiri, gli antagonisti di Morgan sono a tutti gli effetti delle creature vampirizzate che temono come vuole la tradizione aglio, crocefissi e specchi, oltre naturalmente alla luce del sole, ma nel loro vagare lenti e senza metà è impossibile non notare somiglianze con l’iconica figura degli zombie.

Quando di notte si presentano in gruppi davanti alla casa di Morgan chiamandolo per nome e battendo sui muri della casa non possono che ricordare, pallidi ed emaciati, lenti nei movimenti, gli zombie che solo quattro anni dopo diventeranno protagonisti del capolavoro di Romero La notte dei morti viventi.

Probabilmente questa somiglianza è solo frutto di un budget risicato che in entrambi i film costrinse i registi a fare il massimo con il poco che avevano, resta il fatto che se dal lato estetico ci sono degli elementi in comune, non c’è ne sono invece per quanto riguarda la struttura narrativa, Romero sviluppa un discorso di critica politica e militare alla società americana, Salkow fedele allo scritto di Matheson porta avanti uno studio quasi umanistico sulla specie umana e sulla sua estinzione.

 

 

Perche il senso di I am Legend sta tutto qui, nel ribaltamento sociale di un mondo che mutando improvvisamente non vede piu l’uomo come il massimo rappresentante delle specie esistenti ma come una anomalia, come un diverso da estirpare, da braccare spietatamente e infine da uccidere, la diversità genera mostri ma quando i diversi rappresentano le masse dominanti il mostro sei tu, ultimo rappresentante di una razza ormai estinta.

Questo era il messaggio che rendeva grande (e lo rende ancora oggi, piu che mai attuale) il romanzo di Matheson e questa lettura viene riproposta pur con qualche differenza ne L’ultimo uomo della terra, un film freddo e senza speranza, cupo nella messa in scena di una decadenza umana che il valido Vincent Price rende molto bene sullo schermo, l’attore in pratica domina la scena dall’inizio alla fine e il resto del cast (tutto italiano) lo appoggia in modo degno e funzionale, oltre al gia citato Giacomo Rossi-Stuart vanno menzionate almeno Franca Bettoja (Ruth) e Emma Danieli (Virginia, la moglie di Morgan).

Senza dubbio il migliore dei film adattati dall’opera di Matheson, non solo per la sua fedeltà allo scritto ma anche per un estetica da b-movie che con il passare degli anni non ha perso un briciolo del suo fascino (a differenza del film di Sagal che invece è invecchiato male), in questo caso il valore dell’opera è restato immutato e il film, che al tempo fu quasi ignorato, oggi puo contare su una meritata rivalutazione critica, alla quale io mi associo ben volentieri.

Voto: 8

 

 

“Ai loro occhi lui era un flagello spaventoso, sconosciuto, persino peggiore della malattia con cui avevano imparato a convivere, era uno spettro invisibile che per provare la propria esistenza si era lasciato dietro i corpi esangui dei loro cari. Capì quel che provavano e non li odiò.”

(I Am a Legend di Richard Matheson)

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