Regia di Michael Winner vedi scheda film
Su “Chato” c’è veramente poco da dire. Quel poco però va detto, soprattutto per mettere in guardia quegli spettatori che sperano di trovare in questo film un gemello western de “Il giustiziere della notte” (1974). Certo il film in analisi è uscito prima, ma essendo il plot dei due film praticamente identico e avendo sempre Michael Winner dietro la macchina da presa e Charles Bronson davanti, viene immediato pensare che chi abbia visto il film del 1974 (molti, trattandosi di un cult movie a suo modo seminale) e non invece “Chato” (in tanti, trattandosi di opera meritatamente ignota), pensi a quest’ultimo appunto come qualcosa di molto simile, magari anche sul piano qualitativo.
E invece no. Detto in maniera concisa e fuori dai denti, “Chato” è un p(i)attume.
Interminabile nonostante una durata relativamente modesta, senza uno sviluppo che non consista in una mera caccia all’uomo priva di spessore, di suspense, perfino di quella mera componente action-spettacolare che ci si aspettava da questo film come minimo sindacale.
C’è della violenza, quello sì, ma che non essendo supportata da tutto il resto diventa fine a se stessa.
Piattissimo, statico, insignificante, lento e monotono; con una vendetta al centro della trama (se di trama si può parlare) che non si fa mai urgente, che mai esplode in leciti quanto necessari atti di sublime ferocia.
Parlare di mancato scavo nei personaggi è fintanto inutile.
“Un uomo chiamato cavallo” (probabile fonte di ispirazione per il film di Winner), al confronto, sembra “Ombre rosse”.
Sicuramente il peggior film di un regista discontinuo, nonché uno dei più brutti western americani degli anni ’70.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta