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Una questione privata

Regia di Paolo Taviani, Vittorio Taviani vedi scheda film

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La recensione su Una questione privata

di scapigliato
9 stelle

I Fratelli Taviani al loro meglio. Anche se diretto solo da Paolo, la solita scrittura a quattro mani ha creato un film lontano anni luce dal precedente Maravglioso Boccaccio (2015) e differente per impostazione estetica e contenuto dal successo di Cesare deve morire (2012). Tratto da Fenoglio, Una questione privata riporta i Taviani alla letteratura, loro storica e naturale musa ispiratrice. La letterarietà del testo e la conseguente teatrale messa in scena sono, paradossalmente, la forza e la magia di questo bellissimo film. Magia, dopotutto, non è una parola a caso. Tant’è che se per realismo magico si suole intendere quel genere in cui elementi fantastici si introducono in una storia strettamente realista apparendo reali, è anche vero che per realismo magico si può intendere una certa messa in scena, sia del testo filmico che di quello letterario, dove la realtà e tutti i dispositivi realisti vengono rappresentati, raccontati e tra loro relazionati attraverso una sospensione magica, straniante, che dà al racconto lo status di favola, di insognazione, di magia. Lo sguardo magico olmiano utilizzato dai Taviani è quindi il secondo punto di forza del film. Non va dimenticato che la pellicola è prodotta anche da Ermanno ed Elisabetta Olmi.

Inoltre, ad apportare ulteriore ricchezza estetica e artistica ci pensano gli attori protagonisti. Abbandonati gli ingessati e imbarazzanti novellini e novellieri di Maraviglioso Boccaccio, irrompono con tutta la loro forza attoriale Luca Marinelli, Lorenzo Richelmy e Valentina Bellè. Anche i comprimari, per lo più giovani e giovanissimi attori, sono straordinariamente in parte, tanto è sentita la loro interpretazione, sempre di stampo teatrale, ma che non stride affatto con il linguaggio cinematografico, data la natura stessa di Una questione privata. Basti citare Alessandro Sperduti, già “tenentino” per Olmi in quel piccolo capolavoro magico che è Torneranno i prati (2014), Giulio Beranek, Luca Cesa, Francesco Turbanti, Mauro Conte e il giovane Tommaso Maria Neri il “Riccio” fucilato dai fascisti.

Ma gli occhi sono ovviamente puntati su Luca Marinelli, uno dei migliori attori che il nuovo cinema italiano degli ultimi dieci anni ci ha e ci sta regalando. Straordinario e trascinante in ogni ruolo che interpreta, anche qui, nei panni di Milton, Marinelli riesce con il suo volto e la sua recitazione a portarci su quei monti magici, in mezzo a quel nebbione costante, presagio funerario o paradisiaco non lo sapremo. Attraverso i suoi occhi sgranati sul reale, crudo e crudele, della guerriglia partigiana riusciamo anche noi a intravedere la magia del racconto.

Lorenzo Richelmy, dal canto suo, impone la propria presenza scenica con estrema facilità. Attore fisico per definizione, Richelmy è tra le migliori scoperte degli ultimi anni, da Il terzo tempo (2013) alla serie Netflix che l’ha reso famoso in tutto il mondo, Marco Polo (2014-2016), passando anche per il celebrato thriller di Donato Carrisi, La ragazza nella nebbia (2017). Non ancora utilizzato al meglio, l’attore spezzino non perde inquadratura per dominare con sguardo e corpo l’intera scena.

Mentre la bellezza, il desiderio, la pace, intesa anche come fine della guerra e degli orrori tutti, convergono sulla figura di Fulvia, interpretata con grazia da Valentina Bellè. Bella, sensuale, spiazzante, provocante – la scena dell’albero è un piccolo capolavoro di iconografie e simbolismi erotici, di triangoli amorosi e di non detti – la Bellè è l’Italia a cui i due protagonisti ambiscono, ma è anche l’amore, ideale e carnale, che in tempo di guerra è proibito o precluso, o solo dimenticato. È anche la gentilezza, la cultura, la vita spiccia e cordiale dei giorni di pace. Ma forse è, su tutto, una ragazza da amare.

Una domanda però, sorge spontanea. Milton, chi vede nei suoi occhi sgranati? L’amico Giorgio o l’amata Fulvia? O lui riflesso in lei o viceversa? Potere del racconto magico di questo capolavoro di Paolo Taviani, assurdamente dimenticato dall’Accademia del Cinema Italiano.

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