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L'esercito delle 12 scimmie

Regia di Terry Gilliam vedi scheda film

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La recensione su L'esercito delle 12 scimmie

di EightAndHalf
7 stelle

Scienza e follia si rincorrono e si scambiano in maniera irreparabile nel mitico film di Terry Gilliam, diretta prole della meravigliosa Jetée di Chris Marker. L’occhio di Gilliam si mette in mostra nella messa in scena di un futuro post-apocalittico in cui i volti degli scienziati vagano fra sfondi deperiti e inceneriti e si presentano sugli schermi piccoli e frammentati di un più grande occhio, quello che osserva Bruce Willis e il suo disturbante compito di viaggiare nel tempo per scoprire l’origine del virus che ha annientato l’intera umanità. E infatti l’ironia gilliamiana (alla Brazil, per intenderci) sopravvive: tutta la storia, nel suo svolgersi e dispiegarsi, è una sorta di assurdità che rivela la sua natura paradossale a partire dalle proprie cause scatenanti. Lo stesso Willis dà infatti – ironicamente - l’idea della distruzione dell’umanità all’esecutore della stessa, un antagonista di cui non si rivelerà l’identità ma che, è evidente, è pazzo ma è anche figlio di uno scienziato. Se la follia è qui figlia della scienza, il discorso vale anche al contrario, perché è proprio il figlio pazzo ad utilizzare la scienza per elaborare in maniera estesa (e sistematica, assurdamente sistematica!) le proprie follie: la distruzione di un’umanità fin troppo imbalsamata nelle proprie convenzioni, che meriterebbe di essere “spazzata via”. Le responsabilità della scienza ci sono chiare ed è proprio su quelle che Gilliam riflette, con la sua disinvolta spavalderia registica: essendo sicuramente le conseguenze della scienza le cause future di un’eventuale Fine, è davvero necessario un super-cattivo che coscientemente le sfrutti per “conquistare il mondo”? Chi è, insomma, questo esercito delle 12 scimmie? Nessuno, un “branco di pazzi”. Perché polverizzare questa pazza umanità è una pazzia ancora superiore. Farlo poi per i motivi più banali (una chiacchierata in un manicomio) è la stoccata finale verso un nonsense esistenziale che serpeggia fra aporìe spazio-temporali ed eventi metafisici, l’incontro di un essere umano con se stesso e la sua stessa Morte. Un destino che si ripeterà per sempre in loop, e che rigenererà un trauma insanabile all’infinito, come si autoalimenta, con gli incubi, il Caos generale della nostra umanità. Possiamo dirlo, con il sorriso beffardo di un pazzo sul volto: abbiamo i giorni contati. E presto, con parrucca e baffi, insceneremo il nostro eterno paradosso.

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