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Kung-Fu Yoga

Regia di Stanley Tong vedi scheda film

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La recensione su Kung-Fu Yoga

di supadany
4 stelle

Far East Film Festival 19 – Udine.

Indissolubile Jackie Chan. Nonostante abbia già passato da un pezzo la soglia fisiologica dei sessant’anni, non perde il vizio di proporre quelle incredibili acrobazie che tanto successo gli hanno regalato e nemmeno la naturale simpatia che trasmette già solo con un semplice sorriso.

Certo che, in una coproduzione internazionale smaccatamente costruita per inocularsi nei più grandi mercati, le sue doti naturali sono più che controbilanciate negativamente da una serie di storpiature, a livello pratico non molto distanti dalle regole alla base dei tanti vituperati cinepanettoni natalizi.

Cina. Jackie (Jackie Chan) è uno stimato archeologo che, insieme al suo collaudato team e a un cacciatore di antichità preziose, è raggiunto da Ashmita (Disha Patani), una collega indiana, per rintracciare un antico tesoro.

La loro avventura parte dai gelidi territori del nord, ma l’intromissione dell’avido magnate Randall (Sonu Sood) finirà per condurli a Dubai e successivamente in spazi sotterranei, da secoli lontani da occhi indiscreti, in quella che è destinata a diventare un’autentica caccia al tesoro tra chi vuole tutelare i beni del mondo e chi vuole semplicemente arricchirsi sempre di più.

 

Jackie Chan

Kung-Fu Yoga (2017): Jackie Chan

 

Dodici anni dopo il mediocre The myth. Il risveglio di un eroe, si ricompone la (ormai ex) coppia d’oro costituita da Jackie Chan e il regista Stanley Tong che insieme avevano già realizzato successi come Terremoto nel Bronx, Supercop e First strike.

Se in scena Jackie Chan non fa una piega, pronto a tutto pur di meritarsi il ricco cachet, i tempi cambiano e nel nome di una diversificazione totale, è privilegiato il tentativo di accontentare più fasce di pubblico possibile.

Così, le classiche doti fisiche e ironiche del protagonista, sono affiancate da una bellezza indiana - l’attrice e modella Disha Patani - mentre l’abbondante ricettacolo prevede un’avventura à la Indiana Jones, citato a partire dal fatto che il personaggio principale è un archeologo, un inseguimento su quattro ruote à la Fast and furious, miti e leggenda, oltre ad animali, effetti speciali baracconi, balletti ridicoli e un istinto che tende all’esagerazione invece di seguire con (un minimo) di attenzione le varie fasi.

Quest’ultime, sono strutturalmente divise in tre macroblocchi, uno tra i ghiacci, un altro a Dubai e l’ultimo in un posto sperduto nel sottosuolo, giusto per ritrovare tante caratteristiche diverse, così che nel primo si sfrutta l’effetto scivolamento nei combattimenti e i lupi come elemento della fauna, nel secondo compaiono stunt pirotecnici da strada e un leone con problemi di mal d’auto, mentre nell’ultimo la festa e i colori subentrano alla lotta e al buio.

Teoricamente, c’è quindi un po’ di tutto l’umanamente pensabile, ma in pratica oltre alle dimostrazioni parodiche di kung-fu e ad alcune boutade che sfidano il cattivo gusto, c’è proprio poco: l’incipit in pessima Cgi fa temere il peggio, l’umorismo si prende lunghe pause, il ritmo è generalmente fiacco per poi impennarsi estemporaneamente, i collegamenti tra gli spezzoni principali sono poco più di un optional e il villain non ha alcun sapore.

Di certo, non il massimo per i vecchi fan di Jackie Chan – anche se alcuni trucchi di lungo corso funzionano sempre - ma funzionale a chi cerca film esotici, burrascosi e colorati, che sfoggiano mezzi e anime trasversali senza crearsi troppi problemi.

A petto in fuori, senza paura né pudore (cosa non si fa per arrivare al successo). 

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