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Doppio amore

Regia di François Ozon vedi scheda film

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La recensione su Doppio amore

di laulilla
6 stelle

Nonostante una certa banalizzazione citazionistica, la sua visione, in ogni caso, non annoia e, a tratti, può riservare qualche bella sorpresa.


Chloé (Marine Vacth) era una giovane e fragile donna che viveva da sola, forse ossessionata da un oscuro passato familiare che la rendeva insicura e chiusa; sicuramente perseguitata da un dolore fisico lancinante che da sempre aveva accompagnato la sua vita e che la sua ginecologa aveva attribuito a un disturbo di origine psichica, raccomandandole di affidarsi a Paul Meyer (Jérémie Renier), giovane e stimato psicanalista. Poche sedute erano state sufficienti sia per farla sentire un po’ meglio, sia perché Paul si innamorasse di lei, ciò che aveva determinato la fine di un rapporto professionale, ormai inammissibile, e l’inizio della loro storia.
Chloé si era dunque trasferita col suo bel gattone certosino nell’appartamento di lui, all’ultimo piano di un moderno palazzo parigino e aveva iniziato la sua nuova vita, talvolta infastidita dalle intrusioni di un’anziana vicina di pianerottolo gattofila e impicciona. L’insoddisfazione per le lunghe assenze di Paul, impegnato nel suo lavoro, la difficoltà per l’insopportabile solitudine (acuita dalla ricomparsa del solito lancinante dolore) e il fastidio per le attenzioni un po’ inquietanti della signora della porta accanto l’avevano indotta a trovarsi un’occupazione e a riprendere le sedute di psicanalisi, all’insaputa di lui, con un altro professionista. Aveva scelto di farsi curare da Louis Delord (lo stesso Jérémie Renier), nell’aspetto molto simile a Paul (scopriremo essere, infatti, il suo gemello malvagio), il cui ufficio era poco lontano dal museo di arte contemporanea, nel quale Chloé si era impiegata come sorvegliante di sala.
Da questo momento il film diventa un thriller molto teso, con momenti di forte erotismo, condotto con sobria e fredda eleganza dal regista.

 

 

 

François Ozon è visibilmente intrigato dalla suggestione che suscita la coppia dei gemelli Paul-Louis (che nel corso del film troverà un corrispettivo femminile nel palesarsi del comportamento schizofrenico di Chloé) e quindi dal tema del “doppio”, continuamente ribadito dalla presenza, nell’elegante scenografia, di miriadi di specchi che, moltiplicando l’immagine dei principali personaggi, evidenziano la dissociazione patologica della loro personalità.
Grazie, inoltre, alla sua ampia cultura cinefila, Ozon impreziosisce il racconto con continue e pertinenti citazioni da pellicole illustri, dal cui repertorio egli attinge a piene mani, avendo quel tema percorso tutte le epoche della storia della cultura e del cinema, fin dalle sue origini. Ispirandosi al “muto” Lo Studente di Praga – 1913 – , alle gemelle di Lo specchio scuro – 1946 –  alle più note opere di Lang, Hitckock, Polanski, De Palma, Cronenberg, pertanto, egli crea una trama di rimandi ben riconoscibili che, proprio per la loro evidenza, attenuano in parte la tensione e il mistero della pellicola, un po’ banalizzandola. Il film, perciò, pur essendo apprezzabile per il nitore e la classica compostezza delle immagini, che ne rende accettabile il contenuto piuttosto prevedibile e l’erotismo talvolta molto esplicito, nonché il raffinato gusto citazionista, non è, a mio avviso, tra i migliori del regista, sebbene realizzato con intelligenza e cura. La sua visione, in ogni caso, non annoia e, a tratti, può riservare qualche bella sorpresa.

 

 

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