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L'ora più buia

Regia di Joe Wright vedi scheda film

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La recensione su L'ora più buia

di alan smithee
8 stelle

TFF 35 - FESTA MOBILE

Prima dell’inizio del Secondo Conflitto mondiale, la carriera politica del conservatore Winston Churchill pareva destinata ad un declino inesorabile e progressivo, anche a seguito della pesante disfatta di Gallipoli durante la Prima Guerra, circostanza che gravò come sua principale responsabilità tattica e strategica, risultata fallimentare..

Contrariamente alle aspettative, in seguito alle dimissioni del Primo Ministro Neville Chamberlain (l’uomo, anziano, malato e sfiduciato anche a seguito dell'invasione tedesca della Norvegia, vista la gravità della situazione, ritenne sensato dimettersi per procedere alla formazione di un Governo di larghe intese, consapevole che né i Liberali né i Laburisti avrebbero appoggiato un esecutivo guidato da lui.), nel maggio 1940 Churchill venne, non senza qualche dubbio e perplessità, anche da parte del Re, nominato Primo ministro.

Da quel momento l’uomo – intelligentissimo ma dai modi goffi, il linguaggio stentato o poco comprensibile, un carattere così accidioso e così imprevedibile da risultare impossibile da gestire soprattutto da parte dello staff a sua disposizione (le dattilografe in primis, sconvolte dai suoi modi burberi e dalle sue pretese al limite della follia) – divenne il più forte, convinto, intransigente sostenitore nel portare avanti le ragioni dell’orgoglio britannico contro l’implacabile avanzata delle forze tedesche, rifiutandosi di cedere a definire e concordare una cessazione del conflitto che, molto probabilmente, la Germania di Hitler avrebbe accettato ma solo a condizioni davvero soverchianti e inaccettabili per l’ultimo baluardo degli stati liberali rimasto a contrastare l’irresistibile avanzata nazista.

L’ottimo regista Joe Wright ci mostra sontuosamente tutto questo e molto altro, fino a rappresentarci uno scenario tattico che diviene per noi spettatori quasi un “dietro le quinte” del gran film “Dunkirk” di Nolan, non appena si arriva allo spinoso e cruciale problema delle armate britanniche assediate ed accerchiate dal nemico tra le spiagge sabbiose della Manica.

Ma il film ci racconta anche di un Churchill introspettivo, privato, intimo - umano o disumano che si riveli. Un uomo scorbutico e difficile, che incute timore già al primo sguardo, ma che poco per volta matura una sua coscienza ed umanità in grado di rendere la sua persona ed il suo personaggio ben più che accettabile e a tratti sin gradevole ed affabile.

Una figura che poco per volta, come costretto dalle necessità impellenti di una decisione difficile ed impopolare da sostenere e portare avanti, forte di una umiltà non preventivata, nel momento della massima disperazione per la cruciale scelta da intraprendere, trova la forza di rivolgersi al popolo di tutti i giorni, alla gente della metropolitana, alla massa che vive un’esistenza per lui ormai inaccessibile, per capire innanzi tutto l’opinione spassionata di costoro, e quindi agire rassicurato, proseguendo la sua azione di opposizione ad un dialogo apparentemente portatore di pace, ma di fatto in grado di annettere il Regno Unito al giogo del già vastissimo impero nazista.

Wright dirige con la consueta magnificenza coreografica ed elegante e coerente impostazione da colossal confezionato alla perfezione. Ma quello che fa veramente la differenza è la resa degli attori: e l’interpretazione che un irriconoscibile Gary Oldman ci fornisce del celebre statista inglese, risulta formidabile nell’esaltare, senza renderli eccessivamente macchiettistici, i tratti somatici buffi e incontrollati di un uomo temuto e scostante che sa trovare pian piano il giusto approccio per farsi comprendere e comprendere egli stesso che la nazione in fondo sta proprio dalla sua stessa parte e che la decisione, scomoda e quasi suicida che sta per intraprendere, è quella giusta e l’unica da potersi portare avanti.

Per Oldman è difficile non preventivare non solo la candidatura, ma un molto pertinente Oscar per questa sua superba prova, tenuto anche conto che l’Academy impazzisce e si galvanizza per queste metamorfosi fisiche.

Il film a volte rischia di scivolare su qualche svolta troppo facilmente retorica, ma la messa in scena e la resa di tutto il cast (pure i personaggi di contorno, dal re Giorgio alla consorte del Primo Ministro alla solerte dattilografa, resi rispettivamente da Ben Mendelsohm, Kristin Scott Thomas e Lily James) sono in grado di tener testa a queste sin troppo prevedibili e pericolose sterzate consolatorie e morali.

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