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L'arcano incantatore

Regia di Pupi Avati vedi scheda film

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La recensione su L'arcano incantatore

di hallorann
10 stelle

Il regista bolognese Pupi Avati possiede almeno tre anime cinematografiche, una è quella sentimental-minimalista-nostalgica a cui appartengono UNA GITA SCOLASTICA, FESTA DI LAUREA, IL TESTIMONE DELLO SPOSO, IL CUORE ALTROVE; una seconda acre e cattiva come il dittico REGALO DI NATALE e LA RIVINCITA DI NATALE; la terza è quella horror più sporadica nella sua ricchissima filmografia, ma probabilmente la più affascinante e singolare delle tre. Partendo dal cult LA CASA DALLE FINESTRE CHE RIDONO passando per ZEDER fino a L’ARCANO INCANTATORE e  IL NASCONDIGLIO, i suoi horror sono unici perché lontani da quelli di Mario Bava e Dario Argento, i due più noti e riconosciuti maestri del genere. Hanno un impianto fiabesco che vira verso il nero, spesso sono ambientati nella Bassa padana, non sono sanguinolenti né truculenti, puntano allo spavento puro, parlano di preti “spretati” e di negromanzia, di esoterismo e di stregoneria. Per esempio, L’ARCANO INCANTATORE, ambientato nel 1750, narra la vicenda di un seminarista che dopo aver ingravidato e costretto all’aborto una ragazza è costretto a lasciare lo Stato Pontificio. Il ragazzo chiederà aiuto a una strana signora nascosta dietro un paravento di una sinistra abitazione, la quale canta una canzoncina che tornerà a risuonare in altri luoghi e per altre bocche. Stretto un patto con la donna, il seminarista viene indirizzato presso un monsignore sospeso a divinis che vive isolato in una fortezza dell’Appennino tosco-emiliano. Dovrà prendere il posto del suo assistente Nerio morto “di tutti i malefici che ha fatto”. Giunto sul luogo il giovane viene avviato a delle strane pratiche dal monsignore, volte secondo lui ad accrescere la conoscenza umana. L’assistente talvolta scende a valle, in un vicino convento per il cambio della biancheria e per consegnare degli strani messaggi scritti dal monsignore, approfitta dell’opportunità per indagare su alcuni misteri e sarà l’inizio di un incubo senza lieto fine. Avati da trent’anni a questa parte è il migliore regista “medio” italiano, imprime ad ogni sua opera una dimensione autoriale (spesso scrive i film da solo) e nel contempo attenta allo spettatore medio, confezionando quasi sempre opere mai banali. Con il fratello Antonio si è creato una sua nicchia, producendo e scrivendo anche due film all’anno, utilizzando quasi sempre gli stessi collaboratori e ingaggiando i più disparati tipi di attori e attrici: commerciali, sconosciuti, caduti in disgrazia, televisivi, teatrali, doppiatori, star e starlette; ma sempre plasmandoli alla sua cifra cinematografica. L’ARCANO INCANTATORE è una storia fantastica, una fola (in dialetto padano) che come negli altri due horror parte da leggende contadine sul soprannaturale, sul metafisico, sui segreti che nascondono i preti “spretati” e quindi il Maligno che veniva visto in tutte le cose. L’arcano incantatore personaggio attraverso il libro proibito “Pseudo-Monarchia dei demoni” (ottimo titolo) cerca un contatto con l’aldilà, evoca appunto il maligno compiendo sacrifici umani e Avati si addentra nella materia creando momenti di autentica suspense. L’ambientazione storica dona al film un fascino molto suggestivo, grazie alla bella scenografia di G.Pirrotta e alla valida fotografia di C.Bastelli che impreziosiscono ulteriormente il film e i paesaggi umbri in cui è stato girato. Anche le musiche di Pino Donaggio hanno ben sottolineato il senso di inquietudine presente in molte scene e gli interpreti hanno aderito significativamente alle loro parti soprattutto i due protagonisti: un attonito Stefano Dionisi e il carismatico Carlo Cecchi.

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