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3 giorni per la verità

Regia di Sean Penn vedi scheda film

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La recensione su 3 giorni per la verità

di hupp2000
8 stelle

Forse, quattro stelle per questo film tipicamente hollywoodiano sono troppe. La trama non è originalissima. Un piccolo gioielliere di Los Angeles ha atteso per sei anni la scarcerazione del pirata della strada che ha falciato la vita della figlia, che di anni ne aveva solo sette. Dopo la tragedia, la moglie se n’è andata con un altro, portandosi via gli altri due figli. Freddy (Jack Nicholson) ha deciso: quando l’assassino di sua figlia uscirà dal cacere, lo ucciderà. L’incipit del film mi ha fatto subito venire in mente “Que la bête meure”. Anzi, in questo caso diventa paradossalmente più efficace il classico titolo italiano che stravolge l’originale: “Ucciderò un uomo”, di Claude Chabrol (1969). Qui finisce l’accostamento. La trama prende tutta un’altra strada, più prevedibile e con un finale decisamente melenso. Le quattro stelle, a questo punto, vanno giustificate.

La prima nota positiva riguarda la mano sicura di Sean Penn alla regia. Il film scorre senza inciampi dall’inizio alla fine, con più di una trovata originale nelle inquadrature e nei passaggi da una scena all’altra. La raffigurazione dell’immenso dolore dei genitori per la perdita della figlia è intensa, ma mai sopra le righe. In altre parole, si punta a far riflettere più che a suscitare qualche facile lacrima nell’occhio dello spettatore. Il rischio era dietro l’angolo e viene abilmente aggirato. Il secondo pregio della pellicola è dato dalla splendida interpretazione di Jack Nicholson, ben lontano dai ruoli macchiettistici in cui è purtroppo caduto più di una volta nella parte più matura della sua carriera. Qui, si cala in un personaggio travagliato e complesso, un uomo pieno di difetti e debolezze, dall’alcool al sesso vissuto solo come distrazione, ma determinato, testardo nel far valere le sue ragioni, incapace di mentire sia alla moglie che alla sua vittima designata. C’è poi una colonna sonora indovinata, a cominciare dalla bellissima canzone iniziale di Bruce Springsteen. Nell’insieme il film è decisamente “maschile”, dominato come è dal suo regista e dal suo inimitabile protagonista, ai quali si unisce un convincente David Morse nella non agiata parte dell’ex-carcerato per il quale la pena sembra inestinguibile. Di fronte a questa specie di muro, il personaggio femminile dell’ex-moglie di Freddy, incarnato dalla sempre brava Angelica Huston, non viene a mio parere apprfondito in maniera adeguata. Peccato anche per quel finale noioso e scontato, ma i pregi prevalgono senza dubbio sui difetti e il film riesce a strapparmi (per il rotto della cuffia) le quattro stelle di cui sopra.

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