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Idolo infranto

Regia di Carol Reed vedi scheda film

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La recensione su Idolo infranto

di OGM
10 stelle

“Idolo infranto” e “I bambini ci guardano”: due opere che, a cinque anni di distanza, si specchiano una nell’altra, forse senza saperlo. Ad accomunare i due piccoli protagonisti, rispettivamente Phil e Pricò, sono lo stesso ruolo da terzo incomodo, la stessa responsabilità di custodire un terribile segreto, lo stesso ricatto da parte degli adulti, la stessa finzione di normalità, la stessa fuga disperata, la stessa difficoltà a capire l’insondabile carattere del male. Il tradimento, che, nella storia narrata da De Sica, si identifica col venir meno delle certezze affettive, in questo film assume la veste, più sofisticata, della messa in ombra dell’evidenza, del suo relativismo, della bugia che diventa una forma alternativa di verità, e che, per di più, si fa oggetto di contrattazione e di complicità. Il bambino scopre, in maniera traumatica, che tra ciò che si sa e ciò che si dice si può inserire, come alternativa  compromissoria e dominante, ciò che si vuole, o si deve, credere, e che diventa il tributo da pagare alle proprie simpatie e necessità. L’obiettività entra in conflitto con ciò che, in coscienza, si ritiene giusto, e l’onestà si trasforma, da dovere dell’imparzialità, in un impegno di fedeltà e coerenza nei confronti delle proprie scelte umane. Per Phil, l’amore verso il maggiordomo di casa, da un lato, e l’avversione per la moglie, che gli fa da governante, dall’altro, lo costringono, per la prima volta in vita sua, a cimentarsi con il fondamentale compito di crearsi un personale criterio di giudizio ed applicarlo in una situazione critica.  Stare da una parte o dall’altra non è più una istintiva e superficiale inclinazione, bensì diviene una decisione consapevole, seria e  vincolante, da cui trarre importanti conseguenze. Phil impara che per le persone e le cose a cui si tiene ci si deve esporre, benché, solitamente, il quadro sia confuso e le circostanze ostili. L’idolo infranto, ossia l’uomo che, ai suoi occhi, era sempre stato un confortante punto di riferimento, d’un tratto si trova in difficoltà e viene messo in discussione, poiché diviene l’oggetto di una delicata questione investigativa, ed il centro di terribili sospetti. La sua figura, improvvisamente pericolante,  incarna la labilità delle certezze, il confine indefinibile che separa la luce dall’ombra, il profilo sfumato dei valori morali: la divinità caduta ci pone davanti la natura problematica della realtà, di fronte alla quale siamo essenzialmente soli, e privi di risposte univoche e garantite. Ogni idea sta malamente in bilico sopra il suo contrario, e bastano un gesto o una parola  a turbare un equilibrio così delicato. In questo senso, gli errori più dannosi non sono i crimini,  i tradimenti, o le falsità, perché quando navighiamo nella tempestosa complessità dell’esistenza, la minaccia più temibile per i nostri tentativi di salvezza è proprio la plateale, incondizionata ingenuità dell’innocenza.

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