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Carosello napoletano

Regia di Ettore Giannini vedi scheda film

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La recensione su Carosello napoletano

di LorCio
8 stelle

Uno dei due film diretti dall’esimio sceneggiatore Ettore Giannini, e senza ombra di dubbio il migliore. L’unico vero musical italiano (un altro esempio arriverà, cinquant’anni dopo, con la Roberta Torre di Tano da morire), che attinge il naso a Vincente Minnelli e Stanley Donen mantenendo uno stile personale e per nulla imitativo.

 

Tratto da una rivista dello stesso autore, importantissimo per una serie di motivi abbastanza plateali: è una celebrazione della musica napoletana che raggiunge un equilibrio splendido tra popolo e nobiltà, tradizione e arte, senza mai essere didascalica o strapaesana; è un tripudio di colori sgargianti, di cromatismi sfolgoranti, di tinte smaglianti (per certi versi si improvvisa un imprevisto ed inatteso compromesso tra la pittura maniersita e il sapore partenopeo); è un’antologia della napoletanità nella sua accezione più totale, dall’arte di arrangiarsi al gusto della sceneggiata, dall’esigenza del tragico alla necessità del folclore; e, non ultimo, è un film assolutamente anomalo per come riesce a contaminare canzoni celebri (‘O surdato ‘nnammurato, Reginella e un’altra manciata di brani cantati da chiunque in ogni dove) con uno zibaldone di storie emblematiche ed esemplari.

 

Corredato da coreografie che conferiscono eleganza e sinuosità ad una storia che ha inevitabilmente bisogno di scorrevolezza e fluidità (e da scenografie che vivono l’opera come non mai, ad opera di Mario Chiari), il film di Ettore Giannini è un capolavoro di decorazione visiva, approfondimento sociologico e scrupolosità spensierata: il risultato è una clamorosa ed ordinatissima baldoria in cui ogni cosa è funzionale ad un’altra in un’ottica di lieta vitalità.

 

Almeno tre o quattro scene da mandare a memoria: il burattino di Pulcinella che si trasforma in umano (con relativa morte in scena dello spirito di Pulcinella: una cosa sublime); il ritorno in città del guappo Folco Lulli dopo la galera (Antonio Cifariello ci lascerà le penne); l’intervento infingardo della Capera Tina Pica nelle vicende amorose di due giovani; e la scoperta del presepio da parte del figlio di Paolo Stoppa.

 

Proprio il grandissimo Paolo Stoppa interpreta il ruolo più fondamentale della storia: è il cantastorie, il collante dei tanti episodi narrati, alla perpetua ricerca di un posto in cui dormire con la sterminata famiglia (sua moglie è la fiera Clelia Matania), costantemente alle prese con il progressivo declino della magia napoletana. Stoppa è il portaparola dell’autore, il grande manovratore (per certi tratti accostabile al Joel Grey di Cabaret, che vedrà la luce diciott’anni dopo il musical di Giannini) morto di fame ma incapace di non immolarsi in nome della musica.

 

E tra un Giacomo Rondinella innamoratissimo (e dagli torto) di Sophia Loren (al massimo della bellezza possibile per un essere umano) e un Antonio seduttore lamentoso, ecco a voi l’unica rappresentazione cinematografica musicale italiana.

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