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Nelly e Mr. Arnaud

Regia di Claude Sautet vedi scheda film

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La recensione su Nelly e Mr. Arnaud

di MarioC
8 stelle

L’amore cesellato da Sautet diventa il baluardo dei silenzi rumorosissimi, la bandiera scolorita dall’inesprimibile. Un campionario di ellissi, di atti mancati, di parole non dette, di sguardi che urlano, di vocaboli ed interiezioni che non comunicano. Da raffinatissimo artigiano, il regista francese scolpisce ipotesi, combina incontri, cala le carte in tavola, poi le spariglia e le confonde. Sbozza personaggi a tutto tondo con la pietra sapiente dell’umanità, li trasporta nel mondo del possibile, nella spiaggia assolata dell’abbandono; quindi ne registra gli invisibili movimenti dell’anima, ne constata il ritrarsi, fotografa la tristezza, l’incapacità di comunicare le emozioni, infine ricompatta ogni cosa nell’abbozzare linee di orizzonti futuri non ancora preclusi, lasciando che quelle storie (così ordinarie, banali, già viste, già vissute) intravedano ancora una luce e si sviluppino, o muoiano, nel seguirla.

 

Se nell’ineguagliabile capolavoro Un cuore in inverno la struttura era quella classica del triangolo (figura dalle geometrie ardite, sbagliate, non elaborate per trovare la compostezza della perfezione, della compiutezza), in Nelly e Monsieur Arnaud Sautet organizza piuttosto una ronda di personaggi, ognuno alla ricerca di un lacerto di amore che, soprattutto, rappresenti un antidoto a quella solitudine (a quel sentimento della solitudine, meglio, che confina con la misantropia e che rende impossibile ogni forma larvata di socialità del quotidiano) destinata ad imporsi con le sue regole eterne ed invicibili. Al centro, a tessere la tela degli incontri, a chiedere, a curiosare, ad imporre le proprie coordinate, l’uomo solo per eccellenza. Troppo intelligente per accontentarsi della compagnia da bistrot, troppo colto per accettare gli altri e se stesso, troppo smagato per non capire che nei libri non ci sono che vite che il lettore non sfiorerà mai (ecco allora la improvvisa dismissione della biblioteca), Monsieur Arnaud apre le porte alla grazia di una ragazza dallo sguardo infelice, la aiuta, la assume, ne organizza in qualche modo la vita, ne favorisce gli incontri, quindi (sulla soglia di un impossibile amore che è, da un lato, rievocazione e rimpianto, dall’altro gratitudine e tenerezza, nonché incapacità di condurre in porto un’ulteriore ipotesi di felicità che si prometta per sempre), la abbandona, scegliendo gli approdi sicuri del passato. Perchè in Sautet il futuro è solo una fata morgana dell’immaginazione, una rigogliosa nave da crociera o diporto che naufraga subito dopo il varo. A contorno, gli attori inconsapevoli del medesimo lucidissimo teorema dell’infelicità: gli uomini, dalla inconsistenza tenace e irredimibile (il marito perdigiorno, l’editore che sfarfalla e finisce sconfitto sul mai conosciuto campo di battaglia dell’innamoramento), le donne che invece si fanno vestali dell’organizzazione e della praticità, pur apparendo anch’esse pedine senza importanza in quella partita a scacchi senza vincitori né vinti che è la vita.

 

 

Il pessimismo di Sautet non fa mai male. È sentimento screziato dalle emozioni, destinate a reiterarsi, fiume carsico impossibile da frenare, è mera presa di coscienza di un malessere reattivo, alla continua ricerca dell’altro e del sé che nell’altro si specchia. Poco importa che la ricerca sia destinata alla resa delle armi: la bellezza del cinema del regista francese sta proprio in quegli attimi sospesi, nell’attesa delle parole che non verranno (o non saranno come le si era immaginate), nello sfiorarsi delle vite, nella circolarità delle sensazioni, nella arrendevolezza che è solo extrema ratio, in quel gettare alle ortiche il puzzle che non si riesce a completare e nell’iniziarne tuttavia un altro, senza soluzione di continuità. Cinema che ruota intorno a se stesso ed agli uomini. Cinema che dà vertigine ma conserva un immortale baricentro di speranza.

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