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Heat La sfida

Regia di Michael Mann vedi scheda film

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La recensione su Heat La sfida

di LorCio
8 stelle

Già fa tremare i polsi di suo leggere nello stesso film Al Pacino e Robert De Niro. Mettici poi dietro la macchina da presa un sottovalutato estremo come Michael Mann. È doppiamente importante un film come questo. Non solo per i valori artistici che di qui a qualche riga potrete leggere, ma proprio il merito di aver amalgamato due talenti (più uno in una stessa opera). Il dualismo affrontato in Heat si basa su una sorta di simmetria ambigua, in cui i ruoli convenzionali sono i medesimi, mentre le indagini psicologiche ribaltano le consuetudini caratteriali del genere: c’è un poliziotto, uno sbirro nel senso più ampio del termine, che è tutt’altro che simpatico, a tratti quasi crudo; e c’è un criminale dai risvolti poetici, pervaso da una malinconia indecifrabile, abbandonato nel suo cupo viale del tramonto. In questo senso, in questo suo mescolare le posizioni, verso Heat si veicolano molti interessi. Più che una Sfida, come recita il sottotitolo italiano, è una caccia che si muove nella giungla metropolitana di una Los Angeles fredda e misteriosa. L’inseguimento in questione ha vette finanche affascinanti: si rincorrono forsennatamente, Pacino e De Niro, non si beccano mai se non in un breve quanto memorabile incontro in un ristorante e nel finale risolutore. Il motivo filosofico-cinematografico può essere questo: lo schermo è troppo piccolo per accogliere le gesta due mostri. La spiegazione narrativa, invece, potrebbe essere quest’altra: il tallonamento deve avvenire con lenta impetuosità, non si deve mettere fretta all’uno e all’altro di risolvere il problema in poco.

 

A ben ragionare, forse il più grande difetto di questo film è proprio la sua lunghezza, che si trasforma spesso in prolissità: eppure è il suo limite e la sua carta vincente allo stesso tempo. Privato delle sue due ore e quarantaquattro non avrebbe trasmesso le stesse vibrazioni e le medesime pulsazioni. Queste emozioni sono derivate da una certa abitudine dello spettatore alla violenza: sembrerebbe un controsenso, ma potrebbe essere così. Ormai assuefatti dall’imperante violenza del quotidiano, siamo al contempo avvezzi alla lotta eppure ancora sorpresi di quanta ferocia possa avere l’uomo nell’affermare le proprie posizioni. Qui la vita è presa come una vocazione a far quel che si riesce a fare meglio. Entrambi sono professionisti nel loro campo, tutti e due hanno capito con cosa devono fare i conti se vogliono condurre l’esistenza non nel modo migliore ma nel modo più conveniente a se stessi. E per convenienza s’intende non ciò che più ti aggrada, ma ciò che più concorda con la disciplina e la coscienza interiori. La vita del criminale, infatti, deve essere avulsa dai sentimenti degli uomini comuni, così come la vita dello sbirro deve mettere alla prova i nervosismi e le esigenze affettive di chi ti circonda.

 

Coloro che circondano i due personaggi e pretendono se non altro un’esistenza serena e dedita alla coltivazione degli affetti sono le donne, vittime e innocenti: in un film così profondamente maschio (più che maschile), c’è un sottotesto velatissimo e radicatissimo sulla potenza dell’animo femminile come argine all’uomo. Forse si esagera nel considerare Michael Mann un filosofo dell’azione che parla della cifra essenziale del contemporaneo (la violenza) con la poetica della disperazione. Ma è certamente il suo un occhio sconsolato ed abbandonato a questa, privo di qualunque barlume di una speranza oramai dimenticata e conosciuta da pochissimi. Anche alla luce di un sole, per quanto pallido e smorto, è un adrenalinico film immerso nella notte più pesta (finanche pervaso da una certa vena romanticamente crepuscolare: ne è la prova il salvataggio commovente di Pacino della figliastra Natalie Portman). Contraltari corrispondenti ed equilibrati sono la notevole sparatoria diurna e il finale buio, tutto giocato sugli sguardi e le tensioni psicologiche dei due protagonisti, a loro modo incarnanti il “bene” e il “male” nelle loro accezioni convenzionali, nonché sofisticati da tendenze originali e fuorvianti. Vince il primo a discapito del secondo, ma appare come qualcosa di incattivito, senza più fiducia alcuna che il mondo si rivolti contro la potenza del proiettile.

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