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Apocalypse Now

Regia di Francis Ford Coppola vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Apocalypse Now

di axe
10 stelle

1969. Il capitano statunitense Willard, ufficiale di fanteria, di fatto utilizzato per missioni speciali in Vietnam, è inviato oltre il confine con la Cambogia, al fine di "neutralizzare" il colonnello Kurtz, il quale, assoggettando indigeni e sbandati grazie al proprio carisma, avrebbe creato una sorta di dominio personale nella giungla. Willard, a bordo di un barchino, risale il fiume Nung, inoltrandosi nel Vietnam ed imbattendosi in orrori di ogni sorta. Vidi questo film tanti anni fa nella versione "Redux" ed ebbi l'impressione che fosse il migliore nel suo genere. E' un'opinione che mi sento di confermare. Il regista F.F.Coppola parte da presupposti ordinari per un film di guerra; man mano che avanza, tuttavia, la narrazione trascende gli aspetti dell'avventura e della semplice denunzia sociale, per spostarsi su un piano metafisico. Emerge lentamente la valenza di metafora del viaggio di Willard, una lenta "discesa agl'inferi" che si conclude nel momento in cui trova il suo "diavolo". Il protagonista è un soggetto già segnato da tre anni di permanenza nel Sud-Est Asiatico, come esecutore di "missioni speciali", di fatto assassinii di personaggi scomodi; la disumanità acquisita gli ha impedito di riambientarsi negli amichevoli ambienti della madrepatria, pertanto è di nuovo in Vietnam, e forse proprio per questo è selezionato per condurre l'eliminazione di Kurtz. Sin dall'inizio della missione, Willard è perplesso. Studiando i dossier su Kurtz, non riesce a comprendere perchè un personaggio di tale calibro - Kurtz è un'ottima persona ed un valente ufficiale - abbia per prima cosa rinunziato ad una tranquilla carriera che lo avrebbe portato ad essere generale, in favore di un pericoloso e poco remunerativo ruolo di prima linea nello scenario bellico indocinese, e successivamente abbia operato sottraendosi man mano al controllo dei superiori. Secondo l'impostazione iniziale, chi impartisce l'ordine dovrebbe essere il "buono"; Kurtz, il "cattivo". Questo concetto inizia a sfumare, man mano che Willard ottiene ulteriori informazioni sul colonnello, e man mano che vede, risalendo il fiume Nung, quali conseguenze comportano le scelte dei "buoni". Il tenente colonnello Kilgore, al comando di uno squadrone di elicotteri, dovrebbe scortarlo nella prima parte del percorso. Lo fa solo perchè, tra gli occupanti del barchino, riconosce un campione di surf, e vuole approfittare di una spiaggia lungo il tragitto per calvalcare le onde in sieme a lui. Per ottenere ciò, attacca un villaggio occupato dai vietcong, con molte perdite da ambo le parti, e fa poi mettere in sicurezza l'area chiedendo l'intervento di alcuni bombardieri, che la "bonificano" devastando ettari di foresta con il napalm. Successivamente, s'imbattono in un'improbabile arena, sul palco della quale si esibiscono per le truppe alcune "conigliette" di Playboy. Ma lo spettacolo, assurdo per il contesto nel quale è concepito, non può concludersi, perchè, com'era prevedibile, alcuni ragazzotti perdono il controllo. E ancora, l'equipaggio del barchino, persone neppure tanto cattive, stermina una famigliola di commercianti. La linea del fronte, rappresentata da un ponte costantemente sotto il tiro dell'artiglieria nord-vietnamita, ed altrettanto costantemente ricostruito, con grande spreco di vite, è simbolo di un limite oltre il quale le convenzioni di una comune nozione di guerra perdono di significato. Nel suo "regredire", l'uomo torna primitivo, ed è costretto ad una selvaggia lotta per la sopravvivenza. La destinazione è raggiunta nel momento in cui Willard approda presso le rovine di un'antica città, abitata da una moltitudine di uomini indistinguibili, per trucco o divise, l'uno dall'altro - occidentali, vietnamiti, civili, militari - ed accomunati da un aspetto quasi belluino. A capo di questa tribù è Kurtz, il quale la controlla grazie al proprio carisma. La mente di questi "figli della guerra" è stata spinta lungo un percorso involutivo da tanti anni di violenza, odio immotivato, orrori subiti e commessi; sembrano tornati ad un'innocenza primigenia che li rende fratelli tra loro. Kurtz, innalzato a divinità da questo popolo di nuovi selvaggi, comprende la tragica sorte cui la sua effimera comunità non potrà sfuggire. In una sequenza di dialoghi con Willard, delirante per le febbri malariche, Kurtz illustra al capitano le proprie teorie e gli anticipa il tragico destino che l'attende. Qui il cerchio si chiude, poichè Willard - giunto a comprendere l'indole e le motivazioni del colonnello - uccide l'uomo, non per rispettare l'ordine dei superiori, bensì perchè percepisce la valenza catartica dell'evento. Non a caso, la sequenza della morte di Kurt è intervallata da un'altra sequenza che mostra l'idolatra tribù, priva di riferimenti terreni, sacrificare un bovino ad una potenza misteriosa ed ineffabile La voce narrante dei fatti è di Willard; ciò lascia immaginare che il tormentato capitano, eletto a nuova divinità e lasciato allontanarsi, sia in qualche modo sopravvissuto. Ottime, a mio parere, le prestazioni degli attori. Bravi i comprimari, tra i quali mi hanno colpito Robert Duvall nei panni dell'insensibile e spaccone Kilgore, il tipo di persona in grado di sopravvivere al conflitto grazie ai suoi connotati negativi; Frederic Forrest ed un giovanissimo Laurence Fishburne nelle vesti di alcuni dei marinai del barchino, giovani finiti loro malgrado nel conflitto, nervosi ed inesperti, i quali tentano di sopravvivere come possono. Marlon Brando interpreta il colonnello Kurtz, un personaggio che è sulla scena ancor prima di apparire, grazie alle informazioni che Willard dà su di lui. L'intelligenza di Kurtz spinge il militare a sviluppare un fortissimo spirito critico, che lo rende inviso ai superiori. Kurtz è un uomo che "capisce il gioco"; recupera ed esercita il proprio libero arbitrio, e, contemporaneamente, comprende tanto gli errori commessi quanto l'impossibilità di tornare a far parte di quel consesso umano che lo ha visto promettente ufficiale in carriera. Pertanto, accetta quello che ritiene essere il proprio destino. Infine, Martin Sheen è Willard, il protagonista. Militare di lungo corso tanto abituato alle nefandezze dei teatri bellici, da rimanerne ormai apparentemente indifferente, torna a pensare in autonomia nel momento in cui qualcosa sfugge alle logiche cui è abituato. La descrizione dei suoi processi mentali, porta ad una completa inversione di prospettiva, circa la positività e la negatività delle parti coinvolte. I "buoni" sono gli innocenti, i civili le cui vite non hanno alcun valore, le giovani reclute trucidate durante la loro prima azione; i "cattivi" sono coloro che godono del sangue versato sui campi di battaglia, gli indifferenti alle sofferenze, i professionisti della morte che muovono le fila ben lontani dai teatri bellici. Il regista non fa alcun riferimento alle ideologie. Il nemico dei ragazzotti americani, quasi patetici nel voler tentare di conservare i loro stili di vita edonistici nell'infernale contesto del Sud-Est Asiatico, non è il comunista, è il "charlie", loro illustrato come una sorta di subumano le cui vita o morte non hanno alcuna importanza. Il film ha come ambientazione iniziale una tranquilla Saigon, apparentemente lontana dagli orrori materiali. Successivamente, il regista segue il percorso del barchino in ambienti acquatici, ed infine le vicende di Willard nella giungla cambogiana. Tratteggia una natura coinvolta nelle devastazioni umane, ma ancora splendida, selvaggia, ostile. La colonna sonora spazia tra i generi, oltre alla "Cavalcata Delle Valchirie", legata alla celeberrima ed indimenticabile sequenza che mostra l'azione di Kilgore contro il villaggio vietnamita, annovera, tra gli altri, brani dei Doors, Rolling Stones, Beach Boys. Benchè l'azione non manchi e la curiosità dello spettatore sia sempre viva, grazie all'alone di mistero nel quale il regista avvolge la figura del colonnello Kurtz, ritengo che questa non sia un'opera da "affrontare" con leggerezza. C'è tutto ciò che può essere considerato denunzia contro la guerra. F.F.Coppola mostra la violenza, l'indifferenza, l'assenza di ideali, la distruzione, con precisi riferimenti ad elementi noti e comprovati, quali il disinteresse dei soldati per la sofferenza altrui, conseguenza voluta di un durissimo addestramento; i bombardamenti con il napalm; la spregiudicatezza nell'esecuzione delle "missioni speciali"; la sottovalutazione degli avversari e la crudeltà verso la popolazione civile. C'è, però, anche altro. Il regista descrive, per metafore e simboli, gli effetti della guerra sulla mente umana, enunziando una teoria estremamente coerente e condivisibile. Da appassionato del genere bellico, mi sento di valutare questo film come il migliore sulla guerra, per idee e messa in scena, tra quelli che abbia visto fino ad oggi.

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