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La più bella serata della mia vita

Regia di Ettore Scola vedi scheda film

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La recensione su La più bella serata della mia vita

di Baliverna
6 stelle

Un processo alla vita e al successo di un disinibito arrivista; viene fatto solo per gioco, per passare una bella serata in compagnia. O no?

Me lo ricordavo vagamente per averlo visto quando ero molto piccolo, e questo è certamente un punto a suo favore; tuttavia non posso dire che mi abbia convinto. Forse ad avermi colpito all'epoca era la strana situazione di questo castello sperduto per le montagne svizzere, dove il protagonista capita per caso inseguendo una strana ragazza in motocicletta.
Sarei curioso di leggere il racconto di Dürrematt da cui è tratto il film, tuttavia posso presumere che il senso sia leggermente diverso. Quanto a questa versione di Ettore Scola (sceneggiata da Sergio Amidei), credo che punti alla critica sociale nei confronti di arrivisti e arrampicatori, che si fanno strada a forza di colpi bassi (inferti di nascosto), e che hanno la coscienza grassa. I guadagni che ne ricavano sono facili e ingenti ma - di fatto se non legalmente - sporchi. Il processo imbastito per gioco (ma neppure troppo) è forse la simulazione di un esame di coscienza o di un invito al ravvedimento, che però viene dal protagonista completamente lasciato cadere. Anzi, ha già tacitato la coscienza con abili argomentazioni e giustificazioni, e l'accusa che gli viene rivolta non porta sostanzialmente a nulla, eccettuato un incubo.
L'interpretazione di Sordi - che pure è notoriamente a suo agio con i personaggi imbroglioni, furfantelli, furbastri e opportunisti - mi è sembrata un po' troppo ridanciana e cialtrona; forse era auspicabile qualche paura in più, qualche turbamento e qualche scossone in aggiunta. Tuttavia è evidente che ciò provenga dalla sceneggiatura e dalla regia, e non dall'attore. Il suo personaggio, continuando, ha già pronta un'autoassoluzione che puzza lontano un chilomentro, ma che per lui è più che sufficiente, sicché il processo e la condanna non riescono a scalfire la sua coscienza indurita. Ciò avviene solo nel subconscio, con l'incubo (Scola, comunque, non è Fellini o Bunuel, e si vede). Credo che regista e scneggiatore volessero dar voce al loro pessimismo sul possibile ravvedimento di certi arricchiti arroganti che popolavano l'Italia di allora (e di oggi, naturalmente). Mi è sembrato infine un po' eccessivo che il personaggio continui a sghignazzare persino quando vede la morte in faccia.
Un'altro ingranaggio che un po' cigola è la componente soprannaturale, con elementi come lo strano guasto della macchina e la misteriosa ragazza che compare all'inizio e alla fine. Il resto del film è insomma troppo realistico per rendere accettabili queste incursioni nell'inspiegabile.
Di buono il film ha che, nonostante tutto, si segue abbastanza volentieri dall'inizio alla fine, e si apprezza un Sordi comunque in forma e non sopra le righe, come avrebbe fatto in anni successivi. Anche il processo stesso, benché racchiuso in una lunga parte tutta all'interno del castello, funziona discretamente. Mi è piaciuta anche l'ironia sugli svizzeri e sul loro costume di non dare nulla gratis, neppure il servizio più piccolo.
In fin dei conti, forse lo strumento stonato che ha un po' intaccato l'opera qua e là è l'intento più politico che umano, il quale Scola e Amidei hanno voluto dare alla pellicola. Si è voluto insomma colpire l'Italia non comunista, che permetteva a mostriciattoli come il protagonista di proliferare. Forse tutti i succitati problemini vengono proprio da lì.

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