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Braveheart

Regia di Mel Gibson vedi scheda film

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La recensione su Braveheart

di lamettrie
10 stelle

Un prodigio. Un capolavoro perfetto per ogni aspetto di rilievo: paesaggi, fotografia, montaggio; musiche (di Horner); costumi, trucco, acconciature; scene di battaglia, scene in mezzo alla natura; storie d’amore; ricostruzione storica... Quindi anche, e soprattutto, per la sceneggiatura, creata all’occorrenza dall’allora 35enne Randall Wallace, al suo esordio. Tra i tanti messaggi, tutti chiari e curati in modo approfondito, spicca il maggiore: la critica ad ogni forma di imperialismo. La guerra di aggressione porta impoverimento, umiliazioni, violenze subite passivamente, ingiustizie, stupri. Non c’è mai un buon motivo per sopportare il proprio asservimento; anche se l’alternativa è tra libertà e morte, purtroppo, in casi estremi. L’opera di Gibson è un grande inno per la felicità che richiede anche l’uso della violenza, se il caso e purtroppo, per difenderla. Una persona felice dev’essere un combattente continuo, esclusivamente per la difesa e la giustizia, almeno per ciò che esige da sé e dalla realtà, la quale può sempre portare a doversi difendere da un iniquo aggressore.

Il film è anche una denuncia della storia eternamente malvagia (auspicando un cambiamento) del potere: i potenti umanamente sono persone terribili, che, per arrivare dove sono, hanno dovute gareggiare in malefatte consapevoli. Il tradimento è una delle arti più praticate da costoro, assieme alla corruzione, fatta e subita. La denuncia antinobiliare è perfetta: non è certo il nobile a meritare stima, anche perché cerca privilegi per sé che toglie ad altri; semmai da stimare è chi combatte affinché tutti siamo liberi ed uguali. Interessante è poi la critica ai vecchi: che non è affatto esaltazione acritica dei giovani, bensì dimostrazione di tanti falsi miti sull’esperienza; di rispettabile c’è qualcosa solo in chi ha alti valori morali, indipendentemente dall’età. Se un vecchio fa umanamente schifo, nella sua arroganza, è solo perché non si è voluto dare validi valori morali, e quasi sicuramente era così squallido già a 15 anni, a 25… e non ha mai voluto cambiare, esattamente come la futura regina rimprovera al re morente.

La nequizia dell’aristocrazia è palpabile anche nel modo in cui i genitori manipolano i figli: i quali devono, per loro, essere semplicemente dei prolungamenti del proprio narcisismo, in un delirio dì immortalità che è legato alla gloria della propria discendenza (il re moribondo accusa un colpo terribile, quando la nuora gli confessa che non avrà mai un nipote). Il padre del futuro re di Scozia, Bruce, è ancor più laido, e il figlio lo detesta per avergli messo in mano un potere che gronda del sangue dei giusti.

Terribile è poi l’esibizione della tortura, ma assolutamente istruttivo: quella è storia, che Gibson con gran realismo non nasconde. Ottimo modo per conoscere i mali e non ripeterli: il pretesto di edulcorarli (per non ferire le coscienze) è in realtà un ottimo alleato affinché questi mali si ripetano, per quanto ciò sia sbagliato. Del resto egli riprenderà questa sincerità, anche spettacolare purtroppo, pure in “La passione di Cristo” e “Apocalypto”. Qui c’è anche la critica al popolo che vede ciò come spettacolare. Il che è un altro male reale della storia. Una storia che, in generale, è rispettata in modo magnifico dalla sceneggiatura: anche le parti necessariamente romanzate, per esigenze di scrittura, mai tradiscono una visione d’insieme seria del medioevo, e profonda e soprattutto veritiera.

Altri aspetti, umanamente più “concilianti”, concorrono a rendere indimenticabile quest’opera. Tra questi sicuramente spicca la tematica amorosa. Il pubblico femminile, e non solo, non può non appassionarsi alle vicende di eroi ed eroine, a motivo della giusta indignazione per la discriminazione che le donne han subito nella storia: gli stupri dei soldati, i sentimenti autentici soffocati dalle consuetudini abbiette della società, che spesso non permettevano l’amore fra chi si voleva bene, ma solo in una logica maschilista, dove le donne erano sacrificate alle convenienze economiche e sociali dei padri, che tutto decidevano, in base poi a una divisione in classi inaccettabile. Le due donne amate da Gibson incarnano una splendida protesta contro ogni costrizione arbitraria: il loro ruolo tragico è amplificato dall’insuccesso di tali aspirazioni, ma il film ne celebra la caratura morale, assoluta e incancellabile.

Un altro filone aureo è quello naturalistico. I paesaggi (che solo la Scozia ha di quel livello in Europa, anche se la produzione ha usato anche altre zone, come ad esempio l’Irlanda, le quali hanno anch’esse paesaggi splendidi, concentrati soprattutto sull’Atlantico) incorniciano una vita a contatto perenne con la natura, che favorisce un’esistenza basata su autenticità, semplicità e libertà. Tutti valori che oggi vengono sempre più nascosti, dalla propaganda capitalista, imbattibile da più di 40 anni. Stupende sono le scene di vita primitiva, anche quelle di chi dorme con disinvoltura in mezzo alla pioggia e allo sporco naturale.

Altro punto di forza sono le scene di battaglia: intensissime, particolareggiate, mostrano tutta la violenza che devono denunciare, con le giuste ellissi di taluni aspetti più raccapriccianti, ma fino a un certo punto, dato che li fanno intuire appieno.

Grandi tanti attori, in parti ardue, quantunque non tutti. Meno all’altezza la futura regina Sophie Marceau, ingessata, e il futuro re di Scozia Angus McFayden, incapace del pathos richiesto,e il combattente irlandese David O’Hara, nei panni del pazzarello utile a far ridere il pubblico. Ma perfetti  Gibson, la sua sposa per pochissimo Catherine McCormack, l’amico combattente Brendan Gleeson, l’arrogante grandioso re d’Inghilterra Patrick McGoohan.

In questo monumento cinematografico non c’è niente di commerciale, né di falso, né di forzato: tutto è verosimile, pur in un quadro epico. 2 ore e 43 minuti, ma non ce ne si accorge: il ritmo è sempre altissimo.

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