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Il mattatore

Regia di Dino Risi vedi scheda film

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La recensione su Il mattatore

di scandoniano
7 stelle

Memorabile opera in cui un istrionico Gassman, aiutato da una sequela di caratteristi e dalla spalla De Filippo, nonché da una scrittura dignitosissima, incrocia per la prima volta la maestria di Dino Risi. Risate e specchio sociale di un Paese in evoluzione.

Prima opera in cui Dino Risi presta la sua maestria dietro la macchina da presa all’istrionismo di un grande Vittorio Gassman, che sotto l’appellativo di “mattatore” (diventato col tempo quasi un sinonimo dell’attore genovese, a seguito anche del programma TV di qualche mese prima che lo vedeva protagonista) cuce le gesta di un furfantello scaltro ed elegante. Il pregio de “Il mattatore” è di portare una serie di gag, fatte di truffe, imbrogli e travestimenti, al novero di film rispettabile e godibile. Risi, con la collaborazione di grandi maestri come Age, Scarpelli, Maccari e Scola, tesse insieme una trama credibile: proprio l’apporto alla scrittura di questi e di altri autori consentono al film di trovare una propria dignità, rifuggendo la possibilità di farne uno dei tanti film ad episodi. “Il mattatore” ha così il compito di raccontare, con una trama che scorre con grande agilità, l’Italia alla vigilia del boom economico, attraverso il talento di Gassman, la bellezza di Doris Day e la bravura di una serie di caratteristi che furono la fortuna della commedia all’italiana. Le vicende del truffatore Gerardo Latini non sono dunque solo sketch slegati che denotano l’ingegno degli autori e stuzzicano la curiosità dello spettatore, bensì un canovaccio molto ben definito su cui si innestano trame minori (come il rapporto con la moglie, Anna Maria Ferrero) che alla fine, grazie alla struttura narrativa moderna (lungo flashback che lega l’incipit al finale a sorpresa, ma non troppo), rende onore ad una scrittura compatta e coesa. Da segnalare l’interpretazione di Peppino De Filippo, che per quanto sia un personaggio sostanzialmente minore, grazie al mestiere riesce a non finire schiacciato dall’istrionico protagonismo di un Gassman completamente in palla.

Curiosa l’ultima scena, girata a colori dopo un film completamente in bianco e nero. E memorabili alcune sequenze, come la truffa al gioielliere con l’aiuto inconsapevole della pasticcera, oppure il peregrinare al Ministero della Difesa dell’industriale Luigi Pavese (sempre all’altezza), obnubilato da un Gassman che da tecnico del telefono si trasforma all’improvviso in Generale dell’Aeronautica, grazie ad un grado di mimetismo rimasto negli annali.

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