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Tully

Regia di Jason Reitman vedi scheda film

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La recensione su Tully

di mck
8 stelle

Rivoluzionaria restaurazione domestica.

 

Tully, novella Mary Poppins serotin’antelucana più ventenne che trentenne sul tramontar dell’Era Obama, è alle prese con gli assonnati occhi cisposi, le montate lattee a spruzzo intasato e la diastasi addominale post partum di colei che, già madre di altri due marmocchi e quind’insomma perfettamente in linea con lo status di Marge Simpson piuttosto che con quello di Furiosa e Atomica Bionda, infine resiste e non cede all’orgoglio socialmente strutturato invocandone la presenza evocata e che continua imperterrita a rimirarle di nascosto, un pelo invidiosa e sinceramente ammirata, il culo.

- Cosa fai di giorno?
- Sonnecchio.

 

 

Jason Retman (“Thank You for Smoking”, “Up in the Air”, “Labor Day”, “the Front Runner”, “GhostBusters: AfterLife”), alla terza realizzazione di uno script di Diablo Cody (“United States of Tara”, “Jennifer’s Body”, “Paradise”, “Ricki and the Flash”, “One Mississippi”) dopo “Juno” e “Young Adult” e alla seconda collaborazione con Charlize Theron (“Celebrity”, “the Curse of the Jade Scorpion”, “In the Valley of Elah”, “Prometheus”, “Mad Max: Fury Road”) dopo il già citato “Young Adult”, che anche qui offre una prestazione magnifica (completa, eccezionale, profonda e stratificata), con questo “Tully” gira forse il suo film migliore, senz’altro con “Man, Woman & Children” quello più Baumbach-Demme-Solondziano: la sceneggiatura, condita di precisioni e tenerezze, è un metronomo, ricolma di elementi, tematiche, situazioni e suggestioni sufficienti a farcire una mini-serie e l’ora e mezza è gestita alla perfezione, con la co-protagonista titolante, quella piccola forza della natura…

 

 

…ch’è Mackenzie Davis (“Halt and Catch Fire”, “Blade Runner 2049”, “Happiest Season”, “Station Eleven”), ch’entra in scena dopo mezz’ora e tiene testa alla “star”.

Completano il cast Ron Livingston (il marito), Mark Duplass (il fratello), Elaine Tan (la cognata) e Gameela Wright (la preside), più Lia Frankland (la figlia maggiore) e Asher Miles Fallica (il figlio di mezzo, quello un po’ “quirky”). Apparizione - nel senso semidivino del termine - di Tattiawna Jones (“KeyHole” di Guy Maddin), per il tempo d’una posa che sarebbe potuta esser sposa, ma che viene abortita da un discernimento alcolico di fronte a un citofono.
Fotografia: Eric Steelberg. Montaggio: Stefan Grube. Musiche: Rob Simonsen.

- E tu, sei una barca o una balena?

 

 

L’emancipatoria, rivoluzionaria restaurazione del focolare domestico è completa: chi ci vede qualcosa di reazionario (la Mavis di “Young Adult” è diventata la Marlo di “Tully”) non ha mai compiuto un’azione in vita sua.

 
Il dirsi addio è didascalico, ma, per l’appunto, è un “dirsi”, bisogna dirselo: ascoltarsi sancirlo, pronunciarlo, affermarlo, non basta uno sguardo allo specchio o nel vuoto. Occorre pronunciare il proprio disagio per trasformarlo da ambiguo lenimento in cura “definitiva”: e “Tully” termina con uno dei migliori lieto fine di sempre: con tutta la vita davanti, vissero abbastanza felici e contenti per un bel po’.

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