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Un borghese piccolo piccolo

Regia di Mario Monicelli vedi scheda film

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La recensione su Un borghese piccolo piccolo

di scandoniano
10 stelle

Giovanni Vivaldi è un impiegato al Ministero che, alla soglia della pensione, vive soltanto per il suo unico figlio, Mario. Neo diplomato in ragioneria, Mario viene quasi forzato a partecipare ad un concorso pubblico. Tutto sembra andare per il meglio, ma il destino beffardo è dietro l’angolo…

Fedele affresco di fine anni ‘70, non a caso definiti gli “anni di piombo”. E plumbeo, nonché prodromico, è l’apparentemente trascurabile incipit, in cui il clima che si respira al laghetto è foriero di tutti gli elementi che verranno sciorinati poi durante il film. Il film è altresì un trattato sulla famiglia italiana, non solo dell’epoca: padre padrone, moglie sottomessa ma comunque felice, figliolo ai limiti dell’incapacità ma grande genio dal futuro spianato per mamma e papà, e poi il posto di lavoro fisso come obiettivo da raggiungere, l’aiutino dall’alto, ma anche la disperazione per una condizione sociale in fondo “piccola piccola”.

Il motto finale, chiarissimo negli ultimi 15 minuti di pellicola, potrebbe essere “quando hai perso tutto non hai nient’altro da perdere”. E così le atmosfere si intridono di una drammaticità pesante, di toni funerei in cui disperazione e vendetta sono spesso sovrapposte indiscernibilmente.  Con Sordi forse al ruolo più difficile in carriera e con maggiore certezza alla sua ultima grande interpretazione.

Uno dei migliori film del maestro Monicelli, un film che racchiude una generazione, o forse due, o forse di più, con una scena, quella dell’assassinio di Mario, che è tra le più drammatiche e toccanti dell’intera cinematografia italiana. Scena, a metà film, che di fatto divide la prima parte, moralmente sordida e sociologicamente emblematica, da una seconda in cui i toni si fanno miserevoli e il dramma puro viene fuori. Capolavoro (anche per via del magnifico soggetto di Vincenzo Cerami). 

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