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Tenebre

Regia di Dario Argento vedi scheda film

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La recensione su Tenebre

di maghella
8 stelle

Scrivere una opinione su un film di Dario Argento datato dopo “Inferno”, per me, è davvero arduo e complicato.

1982 “Tenebre”: uno scrittore americano Peter Neal (Anthony Franciosa) arriva a Roma per pubblicizzare il suo nuovo libro “Tenebre”, un giallo a tinte forti che parla di un serial killer che uccide donne di facili costumi e pervertite.

A Roma cominciano dei veri omicidi a sfondo sessuale che si ispirano apertamente alla trama del libro, inoltre Peter riceve puntualmente dopo ogni delitto un biglietto da parte dell'assassino.

 

Dopo il grande successo dei primi gialli (“Profondo rosso” su tutti), dopo il capolavoro “Suspiria” e il ben riuscito “Inferno”, Argento ritorna al giallo puro, al maniaco seriale con “Tenebre”. Una storia scritta da lui, ben congeniata, regge ai primi segnali di decadenza che sfocieranno meglio (purtroppo) con i lavori seguenti. Funziona ancora la produzione di Salvatore e Claudio Argento (rispettivamente padre e fratello del regista), che tanto hanno fatto per gli inizi della carriera di Dario. Non è un caso che questo sia l'ultimo film prodotto dal padre di Dario Argento, che purtroppo muore qualche anno dopo, e che tanta importanza ha avuto per il lavoro del figlio. E' forse un caso che i film seguenti saranno sempre più deludenti?

 

“Tenebre” a livello di regia è a dir poco perfetto, ci sono scene e sequenze che fanno storia nel genere horror, e non per le scene splatter di cui il film abbonda in maniera quasi compiaciuta, ma per le scelte stilistiche di ripresa che sono davvero da maestro.

 

Il cast è abbastanza buono, buona la scelta del protagonista con Franciosa, buona la scelta della Nicolodi come segretaria innamorata, che ripercorre un po' il ruolo che aveva avuto con “Gianna” in “Profondo rosso”. Purtroppo tutto il resto degli attori è di basso spessore (a parte J.Saxon), con una recitazione al limite del fastidioso, che rovina non poco la riuscita del film nel suo complesso.

 

La storia è ben scritta e scorre bene, con un finale a sorpresa avvincente, che a distanza di tempo fà ancora effetto.

Le scene invece che dovrebbero ricostruire il passato delirante del maniaco non sono (a mio parere) ben fatte: poco chiare, poco esplicite, non riescono a suscitare fastidio o giustificare un disturbo mentale tale da diventare tanto pericoloso, troppo simboliche e letterarie.

L'uso della ripresa soggettiva rimane il pezzo forte del cinema argentiano, le carrellate in primo piano delle pasticche per i forti malditesta di cui il serial killer è vittima sono tra le cose più riuscite.

 

Alcune sequenze da segnalare per gli amanti di Argento: la scena dell'inseguimento del dobermann, la lunga carrellata che circonda il palazzo dove abitano le due amanti lesbiche, l'uccisione di John Saxon nella piazza assolata e piena di gente. Scene da gran maestro che fanno sparire qualsiasi altro difetto del film.

 

Argento ha spiegato più volte che per fare paura, per creare la sensazione di paura, si ispira a sensazioni realistiche, che la maggior parte del pubblico ha provato: la paura di essere inseguiti da un cane feroce e rabbioso è una di queste. Un dobermann assale la giovane ragazza (Lara Wendel) che per fuggire si rifugia nella casa dell'assassino. Assenza di musica, buio, assenza di persone, il cane che riesce con un balzo spettacolare a saltare la recinzione e a inseguire la ragazza: il destino è segnato.

Nella bellissima sequenza dell'omicidio di Saxon invece Argento ribalta tutto quello che aveva sostenuto con la scena del cane: piazza assolata, affollata di gente, voci, episodi di vita quotidiana che suscitano sicurezza, è impossibile che tra tanta gente nel pieno del giorno possa accadere qualcosa... il male arriva all'improvviso potente e inaspettato.

 

La lunga carrellata all'esterno del palazzo dove abitano le due amanti è invece un esempio di puro stile nella regia. La macchina da presa abbraccia, si arrampica, si inerpica sul palazzo per cercare una via di entrata, per poter spiare all'interno cosa accade. La curiosità del regista diventa così pura bravura ed esercizio di stile, trovato l'accesso di entrata, la furia omicida esplode in tutta la sua potenza e lo spettatore ha il posto in prima fila per vedere.

 

Il film è anche famoso per la presenza nel cast di Veronica Lario, ex moglie di Silvio Berlusconi, che qui rivela le sue doti mediocri da attrice, ma che è comunque la protagonista di una scena splatter diventata cult nel genere.

 

Voce narrante all'inizio del film dello stesso Dario Argento, a cui piace molto partecipare nei suoi film con simili ruoli invisibili, o utilizzando le proprie mani in primo piano (solitamente inguantate di nero).

 

Tra gli aiuto registi ci sono gli amici Lamberto Bava e Michele Soavi, Giuseppe Bassan come scenografo e i Goblin (praticamente, anche se nei titoli di testa appaiono con i loro nomi personali: Simonetti, Pignatelli e Morante) per la bella colonna sonora. Un gruppo affiatato e già collaudato, il buon risultato è sicuramente dovuto anche a questo.

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