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Mute

Regia di Duncan Jones vedi scheda film

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La recensione su Mute

di MrCarrey93
8 stelle

 

Un barista Amish affetto da mutismo inizia una romantica relazione con la cameriera del locale notturno con cui condivide il posto di lavoro. La ragazza ad un tratto sparirà, portandosi via con se un oscuro segreto. Le indagini spingeranno "Leo" tra le bande criminali nei meandri di una Berlino del 2050. Come si potrebbe ben comprendere dal plot a grandi linee (e dalla locandina) l'aspetto fantascientifico è un optional, perchè è quel tipo di film che se ambientato ai giorni nostri come 50 anni fa non avrebbe fatto poi tanta differenza, anzi una collocazione nel passato sarebbe stata forse più congeniale al suo abbracciare il genere noir di vecchio stampo. Il regista ha però deciso di raccontarlo in una società iper tecnologica e nella realtà cinematografica dei fatti bisogna anche dire che la combinazione fantascienza più noir non può che richiamare a gran voce il cult "Blade Runner". Di cui Mute di Duncan Jones è evidentemente debitore. Se non fosse che i riferimenti all'opera seminale di Scott oltre che per le tinte del noir e per lo stesso tipo di concept nell'urbanizzazione distopico-futuristica, qui molto più europea, finiscono ben presto. Come svanisce ancor prima quel sentore di deja vu che il trailer aveva destato se paragonato alla recente serie "Altered Carbon" (sempre di casa Netflix) ma che fortunatamente sullo schermo si traduce con la sola scena di apertura, identica, di un corpo che galleggia sul pelo dell'acqua osservato dal basso del fondale. Punto.
Perchè gli intenti del regista sono quelli di battere altre strade, con una storia dal sapore intimista, Mute ci parla di amore, della potenza dell'amore e dei suoi effetti sulle persone, una forza che ostacola il nostro apparente libero arbitrio, capace infatti di pilotare le scelte umane, motivandone le azioni e giustificandone le conseguenze. L'amore nelle sue declinazioni, nelle accezioni positive e in quelle più negative, dal personaggio che per amore compie gesta eroiche a quello che in virtù dello stesso viene imbruttito nell'animo e spinto a comportamenti riprovevoli, azioni giuste altre sbagliate, ma tutte sempre e in ogni caso finalizzate per il bene di una singola persona. L'eterna lotta contro un mondo avverso e gli altri simili per la salvezza di colui/colei destinatario/a di quell'amore. L'essere umano che letteralmente usa l'amore come arma per colpire e abbattere gli osteggiatori che non gli permettono di esprimere quel sentimento liberamente (dovete capire che il protagonista difatti nel tempo libero ha la passione per la falegnameria, costruisce lui stesso un letto matrimoniale come pegno d'amore nei confronti di lei, e successivamente userà una parte dello scheletro in legno di questo letto come clava per menare i cattivoni di turno, più metaforico di così).

In questo film veramente le declinazioni sono due perchè due sono gli uomini amatori, entrambi scelti in rappresentanza di due modalità diverse di subire l'amore e reagire ad esso, sono due figure ambivalenti (questa distanza sul finale andrà ad assottigliarsi molto in realtà), come ambivalente è l'empatia che creano, ma non per intensità.
Uno è Leo il nostro protagonista privo della parola e di confessione Amish, interpretato da Alexander Skarsgard, gentile e sensibile, timido e solitario, un uomo buono che per amore della sua bella arriverà alla più cieca e incontrollabile collera.
Il secondo è "Cactus", ex soldato americano, oggi un medico militare con un look da redneck che lavora per la criminalità tedesca, interpretato da Paul Rudd e non meno protagonista di Skarsgard., un personaggio rabbioso e cinico, logorato dalle brutture della vita che ne determinano i continui scatti d'ira, il cui deviante amore per la piccola figlia lo condurrà a compiere terribili azioni.
Entrambe le storie inizialmente viaggiano in parallelo e l'unita narrativa sembra spaccarsi in due, tant'è che nel seguire le vicende di Leo da una parte e quelle di Cactus dall'altra sembra di seguire due film distinti. Inevitabilmente le storie andranno poi a legarsi in un tessuto di sguardi e rivelazioni che attraggono ed emozionano fino a confondersi tra loro, nel momento in cui a seguito di determinati sviluppi la condotta di Leo andrà a sovrapporsi a quella di Cactus evidenziandone inquietanti similitudini.

Insomma in un universo dove le riprese aeree sull'area urbana futuristica appaiono prive di profondità, in due dimensioni, a guadagnare in tridimensionalità sono i personaggi, caratteri pulsanti che a volte comunicano poco altre volte esprimono troppo, con un Alexander Skarsgard controllato e preciso nel sottolineare la sensibilità di Leo e l'insofferenza verso una società che lo rigetta e un Paul Rudd credibilissimo nel dar vita ad uno dei cattivi meglio tratteggiati degli ultimi decenni, palesemente uscito da un film Tarantiniano. La ricchezza di sfumature psicologiche e comportamentli di Cactus viene a delinearsi anche grazie alla travagliata amicizia con il collega Duck, ruolo centrale nel rapporto la tendenze alla pedofilia di quest'ultimo, un'amicizia tra le migliori trasposte sullo schermo di recente, disposti a tutto pur di proteggersi a vicenda ma allo stesso tempo inclini a distruggersi l'un l'altro pur di non perdere la via.
Tornando al personaggio di Leo e alla sua estrazione religiosa, qua il discorso religione è interessante, per il fatto che gli Amish rifiutano ogni modernità tecnologica (sia anch'essa in campo meidco), da qui la sua incapacità di adattarsi completamente ad una società permeata nella tecnologia ma soprattutto la sua decisione di non sottoporsi ad un intervento di ingegneria chirurgica per tornare a parlare. Emblematico il suo forte legame con l'acqua, si immerge in un mondo insonorizzato dove può sfogare il suo dolore e il senso di oppressione, come se l'acqua potesse paradossalmente essere un filtro atto a coprire le sue grida, lui che voce non ne ha. Il suo atteggiamento refrattario verso certi aspetti della vita verrà meno grazie alla relazione con lei che andrà ad allentare la rigida sottomissione a certi dettami conservatori e retrogradi della sua fede.
Non solo Tarantino ma anche il cinema di Nicolas Winding Refn, Leo è parecchio il Ryan Gosling di "Drive",  i parallelismi con Blade Runner in questi giorni si sprecano ma Duncan Jones guarda più al cinema del regista danese, e non solo per l'utilizzo di luci al neon, ma più che altro per le similitudini dei codici narrativi utilizzati, la parabola dell'uomo solitario e lievemente sociopatico che per amore verrà risucchiato in una spirale di violenza, nella volontà di far coesistere in un personaggio che all’inizio pare soltanto abbozzato tutto il ventaglio di sentimenti vibanti e distruttivi dell'essere umano.

 

L'ultimo di Duncan Jones è un film che partendo dal presupposto di raccontare le vite di uomini e padri deformati dall'amore inscena una storia intimista e silente, racchiusa all'interno di una cornice futurista caotica e distruttiva, che non rinuncia in alcuni momenti a farsi feroce e crudele per rimarcare l'assunto di base. E' anche un film sulla difficoltà dell'essere genitori, sui genitori che sbagliano, non è un caso che la dedica finale del regista sia rivolta al padre e a Marion, la tata che si è dedicata a lui dopo il divorzio dei genitori.
A fronte di una critica che l'ha totalmente demolito mi rendo conto che probabilmente è il sottoscritto ad aver preso un abbaglio, ma non me ne rammarico.
La sensazione è che Mute sia un'opera più stratificata di quanto appaia e credo che l'impostazione sci-fi abbia impigrito lo spettatore, distogliendolo da possibili riflessioni e chiavi di letture altre, perchè intento nella ricerca di quella componente fantascientifica che andasse ad aggiungere qualcosa al genere ma in questo caso assolutamente non dovuta. Un pubblico forse troppo concentrato sull'occhio futuristico di Jones e meno su quello umano. Colpa che forse non è nemmeno attribuibile al suo fruitore, quanto all'opera stessa per aver generato determinate aspettative salvo poi disattenderle rivelando una natura singolare ben diversa da quella con cui si era presentato. E per fortuna.

 

Alexander Skarsgård

Mute (2018): Alexander Skarsgård

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