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Dearest Sister

Regia di Mattie Do vedi scheda film

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La recensione su Dearest Sister

di alan smithee
5 stelle

locandina

Dearest Sister (2016): locandina

FAR EAST FILM FESTIVAL 19 - UDINE 

Ci sono film preziosi a prescindere, forti oltretutto della singolare provenienza che li contraddistingue.

Quello della pittoresca, simpatica e colorita Matti Do - un furetto di energia che infiamma con la sua trascinante simpatia e faccia tosta tutta la platea del Teatro Nuovo in occasione della proiezione di mezzanotte al FEFF nr. 19 - dipende primariamente dal fatto che il suo film proviene dal Laos, (seppur co-prodotto dalla lungimirante Francia), piccolo stato quasi agli antipodi dell'occidentalita' che ha al suo attivo solo DIECI film prodotti dai natali ormai ultracentenari della settima arte.

scena

Dearest Sister (2016): scena

scena

Dearest Sister (2016): scena

scena

Dearest Sister (2016): scena

Il fatto poi che il film si avvicini alle atmosfere horror, e quindi del "genere", mantenendosi strettamente legato ad usi e costumi della terra che ne ospita vicenda e sfondo scenografico, rende tutto ancora più stimolante.

Certo poi  la storia - l'incontro tra due cugine, ove l'ospitante ha bisogno di soccorso perché quasi cieca, e l'ospitata diventa sempre più succube di vicende ed atteggiamenti misteriosi, frutto di suggestioni, ma pure di un particolare attaccamento di certi viventi alla dimensione dei morti - risulta di fatto quasi più affascinante che realmente spaventevole, come uno studio inedito su usi e tradizioni che si sono ormai quasi irrimediabilmente perse nella notte dei tempi.

E tutto ciò nonostante pellicola sconti inevitabilmente una congenita povertà di mezzi che ne limita le potenzialità espressive.

Mattie Do

Dearest Sister (2016): Mattie Do

Ci sono dunque senza dubbio le premesse e le basi per stupire o suscitare interesse ed un appoggio morale incondizionato, ma mancano poi a conti fatti gli elementi concreti per mantenere quanto promesso.

Il fascino di un horror unico che si cela all'interno di usi e costumi che si perdono negli antri oscuri e ancestrali della tradizione, a volte anche tetra e maliziosamente nera, di un popolo non raggiunge purtroppo qui l'efficacia di ciò che avveniva nell'esemplare horror-politico del grande Wess Craven de "Il serpente e l'arcobaleno", ma forse l'accostamento - per quanto non inopportuno - è  già  in partenza un po'  troppo ambizioso o precoce per un'autrice di indubbio carattere (e folklore), ma ancora in fisiologico bisogno di una adeguata formazione.

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