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Il silenzio

Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film

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La recensione su Il silenzio

di Elvia
10 stelle

Il Silenzio di Dio, questo il titolo che avrebbe dovuto rappresentare l'ultimo capolavoro del regista svedese Ingmar Bergman, della cosiddetta "trilogia" religiosa (insieme ai precedenti Come in Uno Specchio e Luci d' Inverno), smorzato poi nel solo Il Silenzio dallo stesso Bergman per attutirne appena il pessimismo. Sullo sfondo di una città misteriosa e dalla lingua incomprensibile, Timoka (parola estone che significa "appartenente all'esecutore"), approdano le due sorelle Ester e Anna e il figlio di quest'ultima, Johan, a causa di un malessere che assale Ester durante il loro viaggio in treno, per cui decidono di prendere alloggio in un lussuoso albergo. Ed è proprio in questo luogo che si vanno a consumare aggressivi e morbosi i pochi dialoghi (ma anche i molti e durissimi sguardi dei ripetuti primi piani)  tra Ester e Anna che paiono non comprendersi e vedere solo se stesse; la prima, intellettuale traduttrice, prigioniera della solitudine creatasi col suo rifiuto per gli uomini, per il vivere la vita, riesce soltanto a  provare attaccamento e gelosia per Anna (la scena in cui si masturba dopo aver accarezzato i capelli della sorella ne è l'esempio) che, al contrario, ciecamente si imbatte in avventure di sesso occasionale, forse per dare sfogo materiale a  tutta la rabbia che ha dentro, verso la sorella e verso se stessa: durante l'incontro in albergo col cameriere del bar dichiara : "Mi piace il fatto che non ci si capisca". Un film durissimo e straziante per il corrosivo e rispettivo annientamento dei personaggi dove tutto è filtrato dai puri e trasparenti occhi smarriti del bambino Johan che, come in cerca di una possibile spiegazione, con in mano una pistola, vaga per gli immensi e vuoti corridoi dell'albergo imbattendosi in strambi e quasi surreali personaggi ( l'uomo con la scala, il cameriere che mangia e gli mostra delle vecchie fotografie cercando di comunicare col bambino  e, infine, un gruppo di nani, artisti circensi, che lo vestono da bambina e che parlano lo spagnolo...). Naturalmente, non c'è comunicazione possibile, nessuno capisce la lingua dell'altro e, come suggerisce il titolo, tutto è avvolto da un pesante e angosciante silenzio, persino nel finale che porta l'immagine di una parola scritta in una lettera che Ester morente dona Johan: "hadjek" ("anima"). Un finale dal sapore speranzoso ed enigmatico. Comunque un capolavoro.

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