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In the Radiant City

Regia di Rachel Lambert vedi scheda film

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La recensione su In the Radiant City

di mck
8 stelle

You are my sister, we were born / So innocent, so full of need / There were times we were friends but times I was so cruel / Each night I’d ask for you to watch me as I sleep…

 

Tornato a casa [un luogo il quale, più che rispecchiare un'identità geografica (non è LouisVille, Kentucky, tanto quanto non è la Ville Radieuse di lecorbusieresca memoria), rappresenta uno stato temporale: l'adolescenza] dopo un po' di lavoro s'un peschereccio oltreoceano, Andrew [Michael Abbot, Jr., anche prod. esec. - non so quanto effettivo e incidente -, oltre che sodale di lungo corso di Jeff Nichols (ShotGun Stories, Mud, Loving), uno dei due produttori], spegne il focolaio d'incendio della posta, giuntagli in sua assenza e infilatagli attraverso lo spiraglio sotto alla porta, latrice di buste preaffrancate contenenti bollette e promemoria, lettere, cartoline, pubblicità. Poi ne recupera le braci annacquate. Ma quella non è casa sua. Dovrà risalire il grande fiume (Mississippi e poi Ohio) per un bel pezzo, e poi attraversarlo, per arrivarci.

 

 

Ad attenderlo, la famiglia: il meraviglioso, bellissimo grugno a brutto muso duro di Laura [Marine Ireland (Mildred Pierce, Boss, HomeLand, the Killing, Master of Sex, Girls, the Family Fang, Hell or High Water) in un'interpretazione vivida e commovente che riesce a restituire la ferocia, il disincanto, il dolore, la tenacia], sua sorella; la giovinezza in fiore (l'età che avevano i 3 fratelli quando i fatti che portarono allo stallo odierno accaddero) - splendente, fragile, coraggiosa, ingenua, determinata, - di Beth (Madisen Beaty: the Master, Aquarius), la nipote, figlia di Laura; e l'incarnazione - almeno parziale - delle conseguenze infinite di ciò che accadde allora, Susan {Celia Weston, la veterana del gruppo, ottima caratterista [Alice (la serie), Dead Man Walking, Celebrity, In the BedRoom, Hearts in Atlantis, Far from Heaven, the Village], che performa un piccolo monologo in primo piano unico continuato d'impressionante intensità}, la loro madre.

 

 

Più lontano, sta, il fratello, Michael (Paul Sparks: BoardWalk Empire, the GirlFriend Experience, the Night Of, House of Cards, e 2 volte con Jeff Nichols, in “Mud” e in “MidNight Special”).

Inoltre (casting di Melissa Kostenbauder), anche le facce delle “comparse” sono memorabili (in senso letterale e non superlativo): la cassiera collega di Laura (due pose: Abi Van Andel) e il proprietario del motel dove si ferma Andrew (una posa: Rich Williams). A chiudere il cast la buona prova di John Michael Hill nei panni del volenteroso avvocato d'ufficio.

Produzione: Jeff Nichols e Sonny Mallhi. Fotografia: Zoe White. Montaggio: Julia Bloch. Musiche: West Dylan Tordson (the Jinx, Joy, Split).

Il tema è classico, come lo svolgimento (poco indie, poco mumblecore).

 

 

Rachel Lambert, all'esordio nel lungometraggio (scritto da lei con Nathan Gregorski) di finzione [aveva già girato dei cortometraggi, mentre coevo al film è il documentario “Mom Jovi” (si, tratta di ciò che pensate: Milf e Bon Jovi, e non so quanto possa rimandare all'indimenticato “Jimmy Dean, Jimmy Dean” messo in scena da Robert Altman prima a BroadWay e poi “off”-HollyWood, col fidato e sodale da sempre Scott Bushnell)], dimostra una sana attenzione per i dettagli [la sveglia che recita lampeggiando le 12.01 nella camera del motel appena occupata da Andrew e alla quale è stata data corrente, le tende della stessa stanza che lo stesso Andrew apre per rassicurare Beth (quando entrambi ancora non conoscevano il loro legame famigliare) sulle sue intenzioni la notte che passano “insieme”, etc…], una notevole capacità di dirigere gli attori (la regista è anche attrice: “Highs and Lows”) e un occhio alla composizione del quadro né mai superficiale né mai gratuito. Bell'esordio, convincente: reagisce ai difetti [una certa ingenua sentenziosità nei dialoghi (mentre il già citato piccolo monologo della madre-nonna ne è invece del tutto esente), come in questo caso: "Io ho redatto la mappa. Ho detto qui c'è il nord, qui il sud. Qui c'è una montagna e un fiume, questo è un albero. Aveva un senso, in quel casino". Bello, giusto e appropriato, chiosato però in risposta con un più pleonastico e ridondante: "Una montagna è una montagna, anche se la chiama albero"] in corso d'opera e li sublima.

 

You are my sister, we were born / So innocent, so full of need / There were times we were friends but times I was so cruel / Each night I’d ask for you to watch me as I sleep…

 

* * * ½ (¾) - 7 (½)      

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