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Moonlight

Regia di Barry Jenkins vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Moonlight

di amandagriss
8 stelle

 

magnetico giro di blues

 

Brad Pitt e la sua casa di produzione Plan B, che già conta in curriculum una manciata di opere cinematografiche di rilievo realizzate tenendo fede al motto ‘poco mainstream e tanto amore per l’esplorazione di territori narrativi (e visivi) altri’

    [ giusto per citare i titoli più rappresentativi: L’assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford e Cogan - Killing them softly di Andrew Dominik, 12 anni schiavo di Steve McQueen, The Tree of Life di Terrence Malick, Moneyball - L’arte di vincere di Bennett Miller, la recente serie tv The OA, il blockbuster World War Z di Marc Forster e, prossimamente in uscita, l’ultimo lungometraggio di James Gray The lost city of Z ],

sforna il singolare, commovente Moonlight, probabilmente fra le maggiori sorprese in termini di riconoscimenti -meritati- nell’imminente notte degli Oscar.

 

Dall’omonimo testo teatrale, il regista e sceneggiatore Barry Jenkins (qui alla sua prova del nove) trae un riuscito tentativo di 'svecchiare' il cinema nero, rielaborandone con intelligenza, sensibilità ed una dolcezza inattesa, i cliché che lo caratterizzano (ghetto-droga-miseria-degrado) per dare vita ad un prodotto originale, diversificato all’interno di una cinematografia di colore forse fin troppo impantanata nelle sue annose e sempre uguali tematiche sociologico-razziste. Per farsi promotore di un rinnovamento che non ne perda di vista la fondamentale natura militante ma che al tempo stesso sia in grado di apportare nuova linfa vitale ad un modo di rappresentare i neri d’America oramai abbastanza stantìo, condizionato e soffocato dai suoi stessi limiti fino ad appassire, determinando nel pubblico una totale perdita d’interesse.

Così da allargare gli orizzonti narrativi o, perlomeno, rivisitarli sotto un differente ottica, intessere anche un discorso di natura estetica seducente, funzionale all'atmosfera lunare inedita voluta per la storia. Ed imprimervi uno sguardo personale-autoriale che segua percorsi intimistici senza, però, sconfessarne le radici, da cui, d’altronde, tutto scaturisce e prende forma.

 

 

Moonlight si fa opera interessante riguardo alla felice scelta stilistica di dividere in 3 segmenti la storia del protagonista Chiron, per poter meglio coglierne l’essenza e rimanere concentrato sulla sua evoluzione d’individuo nel corso degli anni e in rapporto alle esperienze vissute, il che permette al regista di evitare inutili divagazioni e pesanti trappole di retorica sociologica che sposterebbero di molto l’asse dell’interesse privato a monte prediletto.

E in secondo luogo, interessante riguardo alle tecniche di riprese adoperate, tanta camera a mano e avvolgenti piani sequenza come ben dimostra la scena iniziale.

Infine, l’uso di una partitura di musica classica si fa intuizione efficacissima, perché riesce a punteggiare il lirismo di alcuni momenti emotivamente intensi e a sottolineare con maggiore forza l’intenzione di apportare una rottura significativa nel modo di approcciarsi all'universo ancora così tanto dolente della popolazione nera negli USA ai nostri giorni.

 

 

Ma il film di Jenkins meriterebbe almeno una visione anche per le importanti riflessioni di natura antropologica che vengono fuori dalla narrazione, legate alla triste e desolante constatazione di quanto l'ambiente in cui si cresce, soprattutto se problematico, possa influenzare fino a plasmare del tutto un essere umano, costruendolo a sua fedele immagine e somiglianza, arrivando a conferirgli una personalità, un'identità che, a dispetto dell'apparenza, non sentirà mai di appartenergli davvero.

Sono considerazioni, certo, ampiamente ritrovate in passato e nei contesti più disparati per quanto circoscritti, ma qui paiono vestirsi di una luce nuova, magari per via della inusuale elegante confezione o perché la storia, proponendo al protagonista, con garbo e delicatezza, la possibilità di (credere in) una svolta nella sua vita, finisce per ribadire, con assoluta convinzione, la volontà di affrancarsi metaforicamente dal ghetto e non riferirsi più a specifiche tipologie d'individui calati nel marcio sistema sociale ma agli individui (tutti) in quanto tali.

Parlare alla gente indistintamente, dimenticando le differenze di razza, etnia, cultura, tradizioni.

Dimenticando di fare cinema di neri principalmente per neri.

Il 3 segmento lascia intravedere una via d’uscita, un cambiamento di direzione in Chiron (che poi va di pari passo col discorso sul rinnovo del cinema di colore), fino a quel momento schiacciato e annichilito da un senso della predestinazione che ha finito col metterlo con le spalle al muro, avendo sentenziato già in partenza la sua sorte.

 

 

E osservandone il percorso comprendiamo, perché praticamente identico, quello inizialmente solo intuibile del suo amico, l’adulto Juan, presente nel primo segmento -il più struggente del trittico-, il quale (e alla fine l'intuizione risulterà limpida certezza) aveva riconosciuto nel “Piccolo” Chiron il bambino, tenerissimo e dai grandi occhi limpidi, che una volta era stato.

 

 

 

 

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