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Il mostro

Regia di Roberto Benigni vedi scheda film

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La recensione su Il mostro

di FilmTv Rivista
8 stelle

Tutta la periferia astratta e indefinita della città ne parla. Un maniaco uccide le donne, le priva di una mano o di altri organi e sparisce nella solitudine e nell'anonimato di strade deserte e di caseggiati dalle linee architettoniche piatte. La polizia e uno psichiatra (Michel Blanc) danno la caccia a questo "Mozart del vizio" in un universo urbano che fa pensare a Play Time di Jacques Tati e si convincono che il colpevole, il "mostro" possa essere Loris. L'inquilino indisciplinato di un condominio dominato da una maggioranza intollerante e capeggiato da un arrogante amministratore (Jean-Claude Brialy). Loris vive di espedienti, studia senza molto profitto il cinese, dissuade con ogni mezzo gli eventuali acquirenti della sua abitazione, "ruba" la prima colazione al bar, non paga i debiti, subisce i dispetti di una bambina che ha la sfortuna televisiva di chiamarsi Sue Ellen, aspetta, indolente e furbo, un lavoro definitivo e una donna da amare. E' impacciato, pasticcione, scoordinato e ogni suo movimento ha la spontaneità del bambino e si presta all'equivoco e al fraintendimento. Un mozzicone di sigaretta caduto inavvertitamente nei pantaloni può sembrare un'improvvisa e incontrollabile frenesia sessuale. Una sega elettrica che non si spegne suscita in una malcapitata signora la paura di un'aggressione. Una torcia elettrica scivola dalla cintola e simula un desiderio sessuale prorompente. Un telecomando, usato con disinvoltura, diventa un cellulare. Un lembo della giacca impigliato in un manichino dà l'idea di amplesso convulso. Lo scambio di persona - stereotipo tradizionale del linguaggio comico - già utilizzato dal regista in Johnny Stecchino, investe tutto il campo visivo e narrativo del film. Regola i rapporti tra i personaggi, innesca una catena inarrestabile e molto divertente di gag, alimenta il supplizio di un Tantalo erotico (la poliziotta Nicoletta Braschi con una girandola di pose provocanti cerca di smascherare Loris). Nel film si alternano la comicità dell'orrore e l'orrore della comicità. Benigni fa bene a ribadire che i presunti riferimenti alla cronaca giudiziaria o alla politica sono labili e inesistenti. L'attore-regista si impegna soprattutto in una privata ricognizione di miti e figure del cinema classico. La perfidia di Charlot, gli attraversamenti sghembi dello spazio di Groucho Marx, le sospensioni di Tati, l'imperturbabilità di Keaton. Loris non è candido, né buono, né cattivo. La sua "mostruosità" è nel non essere in sintonia con il presente e con l'andatura degli altri. Preferisce, infatti, allontanarsi verso il sole al tramondo con il passo buffo di una ranocchia.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 45 del 1994

Autore: Enrico Magrelli

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