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La signora Skeffington

Regia di Vincent Sherman vedi scheda film

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La recensione su La signora Skeffington

di Baliverna
8 stelle

C'è stato un tempo in cui i film non erano nichilisti e cinici, ma, pur rappresentando il male e la stupidità umana, sapevano riflettere in modo profondo su determinate tematiche e proporre una messaggio, o anche un insegnamento. E' il caso di questo bel melodramma di tal Vincent Sherman (scusate la mia ignoranza) ma interpretato da una stella del calibro di Bette Davis; qui tra l'altro è invecchiata così bene dal trucco che, nella sua vera vecchiaia, sarebbe diventata molto simile. L'altro è Claude Rains, che io ricordo in modo indelebile nel ruolo del perfido nazista, mammone per giunta, di "Notorius, l'amante perduta". Qui, invece, interpreta un uomo buono, forse troppo, o meglio ingenuo, che si innamora di una vanesia e che non afferra subito la natura dei suoi sentimenti per lui. In fondo la scelta dei distributori italiani di cambiare il titolo questa volta non è fuori luogo, poiché in tal modo l'attenzione viene spostata su colei che è la vera protagonista della pellicola. La bravissima Davis interpreta una donna vanitosa e frivola, innamorata solo di se stessa e smaniosa di farsi sbavare dietro da stuoli di pretendenti, ma in realtà interessata a nessuno di loro. Facendosi oggetto di culto a se stessa, idolatra il proprio corpo e vi dedica una cura ossessiva, a tal punto da ritenere la gravidanza - e la figlia - come un inconveniente. Perdipiù è legata, ricambiata, da un sentimento incestuoso a suo fratello. Il fatto che non vi sia la componente fisica tra di loro non toglie niente all'intensità e alla concretezza di quel sentimento distorto e perverso. Questo elemento contribuisce a dipingere una protagonista piena, oltre che di vanità, anche di complessi, di manie, e di perversioni nascoste. La trama è la storia di una dolorosa, ma non troppo tarda, presa di coscienza della futilità e inutilità di una vita spesa ad adorare se stessa e il proprio corpo, disprezzando gli altri e se mai usandoli per i propri scopi. I frutti di una vita così sono la solitudine e la disperazione. Penso che, specie quanto al discorso del corpo, questo film dovrebbe far riflettere più di qualche donna contemporanea, che magari non vuole avere bambini per non farsi venire qualche grinza o diventare un po' meno snella.
Tornando al film, è uno di quei bei melodrammi dei tempi d'oro di Hollywood, ben diretti e interpretati, con per di più una buona sceneggiatura. Evidentemente all'epoca - a differenza di oggi - le sceneggiature scadenti e banali finivano nel cestino, e non in mano ad un regista.

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