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Cane di paglia

Regia di Sam Peckinpah vedi scheda film

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La recensione su Cane di paglia

di Maciknight
6 stelle

Sam Peckinpah con questo film ha voluto colpire duro proponendo in maniera quasi esasperata il suo pessimismo antropologico. Non è un film di intrattenimento dilettevole e che possa lasciare lo spettatore imperturbabile, ma lo inquieterà in parte esasperandolo.

Non credo vi siano dubbi sul fatto che Sam Peckinpah con questo film abbia voluto colpire duro proponendo in maniera quasi esasperata il suo pessimismo antropologico. Non è un film di intrattenimento dilettevole e che possa lasciare lo spettatore imperturbabile, ma è più facile che lo alteri e lo disturbi inquietandolo, anche profondamente.

In primo luogo occorre tenere presente che il film è della fine degli anni ’60, quasi mezzo secolo è trascorso, lasso temporale significativo non tanto per il progresso della tecnologia che è avvenuto nel frattempo, che centra poco in questo caso, ma è per la notevole diversificazione ed elaborazione culturale che c’è stata da allora, oltre che l’ambientazione in una sperduta località rurale della Cornovaglia, sono tutti aspetti che vanno tenuti presenti nel visionare il film è ancor più nel valutarlo. Sorprende fin da subito la coppia di protagonisti, mirabilmente interpretati da Dustin Hoffman e Susan George, giovani sposini piuttosto ingenui se non addirittura sprovveduti, per buona parte del film si comporteranno ingenuamente e a tratti stupidamente ed ambiguamente, in particolare la donna, contribuendo a rendere pericolose le loro relazioni sociali e la loro esistenza nella località rurale, abitata da individui piuttosto rozzi ed aggressivi, volitivi e primitivi, prepotenti ed abituati a denigrare lo straniero considerandolo diverso e debole, cogliendo ogni opportunità per sfruttarlo a proprio vantaggio. Individui scarsamente civilizzati e con una cultura dei diritti umani con la quale tuttalpiù possono suolare le scarpe. In un ambiente del genere, la dabbenaggine manifestata dalla coppia di stranieri (lui matematico americano alla ricerca di un luogo solitario dove compiere i suoi studi e lei ex villeggiante del luogo con strascichi sentimental sessuali inappagati), aggravata da notevole pusillanimità ed ambiguità, non sono certo prerogative adatte a gestire il contesto sociale ed i rischi connessi.

La prima mezzora abbondante della sceneggiatura mette già a dura prova lo spettatore, che già si prefigura che la coppia farà una brutta fine e si duole per le piccole stupide schermaglie tra coniugi che sembrano mentalmente fermi alla pubertà. Ma anche la mezzora intermedia contribuisce a rendere ancora più esasperato lo spettatore, in quanto con sadismo Peckinpah continua a infierire sulla coppia attribuendole comportamenti assolutamente inadeguati alle circostanze. Solo verso la fine del film le condizioni si ribaltano ed i due si riscattano, parzialmente, perché lei rimane coerente con il suo personaggio, fragile, ambiguo, inaffidabile, falsamente emancipato ma in realtà sottomesso e bisogno di essere dominato, tranne poi lasciarsi andare a sensi di colpa e relativa imbranatezza. Lui invece, pur non brillando (neppure da matematico, in fatti sbaglia a contare gli avversari eliminati) riesce comunque, ricorrendo a tutto ciò che ha a portata di mano, a difendersi con successo dall’aggressione della famiglia di buzzurri locali, superando tutte le remore che possedeva sul ricorso alla violenza come soluzione dei problemi sociali.

La mia valutazione sufficiente ma non positiva deriva semplicemente dal fatto che non condivido in toto la rappresentazione dell’umanità fornita dall’autore, per quanto sia di talento, ritenendo piuttosto improbabile il tratteggio psicologico della coppia e la loro iniziale e troppo prolungata incapacità di rapportarsi con la difficile realtà locale e di ricorrere a contromisure minime essenziali e preventive per porvi rimedio, come dire che la trama è piuttosto forzata, seppur ben orchestrata per conseguire gli obiettivi che ci si era posti.

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