Regia di Rick Rosenthal vedi scheda film
E si aggira.
Nascosto, strisciante, insidioso, in uno stupendo incipit egli scivola nell’intimità delle abitazioni di un quartiere tranquillo, in una silenziosa notte d’ottobre. Che è la stessa di tre anni prima. “La notte che lui tornò a casa”, come cita la tagline del capolavoro del 1978.
Un prolungamento del film precedente, talmente in sintonia col suo predecessore da rendere quest’ultimo quasi incompleto. Primo e secondo capitolo sono in tutto e per tutto un unico grande film.
Ora la protagonista viene portata nell’ospedale di Haddonfield. E cosa c’è di più terrificante di un ospedale vuoto di notte? Perché questa volta l’azione si concentra tutta lì, e il film di Rosenthal (esordiente al quale viene affidata la regia del film in analisi, ma la sceneggiatura è sempre di Carpenter. E si vede) segue diligentemente le regole dello slasher (l’asticella della violenza si alza rispetto al primo capitolo) all’interno di queste opprimenti mura bianche, quasi fossero un’estensione del “volto” del killer, della sua maschera.
Con innovativa intelligenza, nei momenti di tensione le musichette inquietanti lasciano il posto a spiazzanti attimi di silenzio assoluto.
La necessaria e per nulla dannosa prevedibilità dello schema è interrotta da colpi di scena ben assestati, come quello del presunto Michael Myers ucciso dallo scontro di due autoveicoli.
Puro genere, asciugato – ma non è per forza un male – dai sottotesti psicologico-introspettivi del primo capitolo e dalle riflessioni metacinematografiche partorite dall’uso della soggettiva. Espediente, quest’ultimo, comunque utilizzato anche qui in maniera sapiente e colta.
Un grandissimo sequel che termina con un angosciante primo piano del volto del cadavere di Myers in fiamme – con “Mr. Sandman” delle Chordettes in sottofondo – quasi come a voler ribadire la possibilità che, dopotutto, lui possa essere ancora vivo.
Horror di alta qualità.
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