Regia di Jonathan Demme vedi scheda film
Il film di Demme resta uno dei migliori esempi di cinema impegnato ma non perciò ricattatorio. Un'opera che resta attualissima nonostante il tema trattato abbia smesso da un pezzo di far notizia. Immenso Tom Hanks.
A un quarto di secolo dalla sua realizzazione, “Philadelphia” di Jonathan Demme resta non soltanto un finissimo esempio di come realizzare cinema drammatico di alta qualità senza dover necessariamente sottoporre lo spettatore a vili ricatti morali, ma anche e soprattutto esempio di come un'opera cinematografica strettamente legata a un tema d'attualità (l'AIDS in questo caso) possa, se ben realizzata, mantenersi attuale anche quando il tema trattato ha smesso da un pezzo di far notizia. Demme e il suo sceneggiatore Ron Nyswaner fanno qui un lavoro coi fiocchi portando in scena con pochissimi fronzoli e ancor meno retorica il dramma di un uomo che è in ultima analisi il dramma di un'intera società, indipendentemente dall'orientamento sessuale del soggetto. Tom Hanks è a dir poco immenso, cosa che nei 25 anni seguenti saprà dimostrare decine di volte, e grazie alla magistrale interpretazione del personaggio di Andrew Beckett portò a casa Orso d'oro e Oscar al miglior attore protagonista. Denzel Washington ne è comunque qui degnissimo scudiero (seppur non considerato dall'Academy), mentre l'altro Oscar vinto, quello per la miglior canzone originale da Bruce Springsteen, resta un caso forse unico, nel senso che il film ottenne ben due candidature in tale categoria: una per il già citato Boss, con la celeberrima “Streets of Philadelphia”, l'altra per Neil Young con “Philadelphia”. Chiudo con una dichiarazione d'amore: la scena in cui Tom Hanks, ormai morente, danza leggero e sognante sulle note dell'aria cantata da Maria Callas è da brividi, magistralmente ideata e realizzata, varrebbe da sola il prezzo del biglietto, ed è uno di quei momenti per cui il cinema ripaga noi tutti cinefili impenitenti del tempo e della passione che gli dedichiamo.
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