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Voglio la testa di Garcia

Regia di Sam Peckinpah vedi scheda film

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La recensione su Voglio la testa di Garcia

di Kurtisonic
8 stelle

Con un inizio quasi depistante, dall’immagine teneramente bucolica di una ragazza incinta sul bordo di un lago, ai pistoleros che la conducono da suo padre, alla musica messicana in sottofondo, Peckimpah ci introduce ad una scena cruenta e drammatica che colloca la vicenda in una dimensione senza tempo, fra  western ad ancora prima, poi alla contemporaneità. Al posto dei cavalli ci sono auto e moto rombanti, dai pueblos si passa agli alberghi, invece che carovane, aerei, ma è  tutto impregnato dalla spessa coltre di polvere che circonda il sapore della sconfitta, del furore, dell’autodistruzione. Un ricco e crudele fazendero mette una taglia su Alfredo Garcia, reo di aver messo incinta la figlia. Attirati dalla cospicua ricompensa, una gang di malviventi di professione si mette alla ricerca dell’uomo, peraltro morto in un incidente, coinvolgendo Bennie uno spiantato pianista e la sua amica , la prostituta Elita. Ambientato in Messico,uno dei luoghi preferiti dal regista, il film raffigura quella realtà locale e popolare, costretta in un contesto di povertà sociale, fra disillusione e cinismo. Peckimpah ne estrae due personaggi che nella generalità dei plot cinematografici figurano solitamente in secondo piano, lo stesso genere western che tradizionalmente mostra le figure del pianista e della prostituta difficilmente offre loro la ribalta principale. La prima parte del film è la più lenta, quella in cui prevale un senso di sospensione della vicenda, come se la regia offrisse ai due la possibilità di sfuggire alla realtà e al loro destino di perdenti, in una adesione ideale e morale con le loro storie e i loro comportamenti. Culminerà nella sequenza del picnic dei due, in un’atmofera fra il romantico e il road movie, collassata dall’entrata in scena di due balordi motociclisti che li aggrediscono. Questa scena, centrale e dagli sviluppi discutibili, rivela il nucleo fondante del cinema di Peckimpah, alla violenza e alla sopraffazione non ci sono alternative, e gli esseri umani rispondono ad esse con ogni mezzo a propria disposizione. Il regista prepara con cura e nei dettagli la scena , equilibrando dialoghi e turbamenti che emergono fra i due protagonisti, alternando slanci emotivi a risoluzioni drammatiche e scabrose, tese a confermare nella sostanza le personalità, desiderosi ma impossibilitati dalla loro stessa natura di vivere una comune normalità. La seconda parte si può individuare con l’uscita di scena di Elita, quale elemento di mediazione e di collegamento all’esplosione della violenza, al grand guignol, con la testa di Garcia oggetto e valore della colpa attraverso la quale Bennie può elevarsi e riscattare la propria vita. Invece la redenzione di Bennie avverrà con modalità impreviste, dovendo fare i conti con il tentativo di uscire dal ruolo  di comprimario della propria esistenza, di fronte alla realizzazione materiale del suo scopo nega  e disprezza il solo valore effimero di arricchimento. Peckimpah realizza una magistrale uscita di scena del suo antieroe,  predestinato a chiudere un cerchio senza speranza. Portatori sani della disintegrazione sociale e di un individualismo anarcoide, i personaggi del regista si muovono liberi di combattere cosa li opprime fino in fondo, pagandone sempre un altissimo prezzo, senza compromissioni e mezze misure. 
 
 

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