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Blade Runner 2049

Regia di Denis Villeneuve vedi scheda film

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La recensione su Blade Runner 2049

di ROTOTOM
9 stelle

Esseri sintetici, droni a comando vocale, macchine volanti, avatar digitali innamorati. Ma la tecnologia è impotente di fronte ai cari, vecchi tergicristalli.

Una sontuosa sinfonia per immagini.

 

C'eravamo quasi, a quel 2019, futuro prossimo di una società ai limiti della distopia immaginata nel 1982 da Ridley Scott su ispirazione di Philip K. Dick. Nel 1982 ci s’immaginava il futuro con le macchine volanti che fendevano le piogge acide mentre esseri sintetici sempre più perfetti venivano prima impiegati per i lavori sgraditi e poi terminati da cacciatori professionisti: i Blade Runner.

A due anni dal futuro, siamo indietro rispetto all’incubo neogotico della Los Angeles di Scott. La tecnologia non farà volare le auto ma le spingerà a elettricità così da scongiurare le piogge acide, il melting pot etnico si sta approssimando con grande velocità e la creazione di esseri senzienti artificiali è ancora nel limbo della fantapolitica.  
Intanto il 2049 è scappato via, lontano, prefigurando uno scenario non difforme da quello del 2019, solo ancora più distopico dal punto di vista sociale, architettonico, etico.
In una Los Angeles iperaffollata, il cacciatore di androidi K (interpretato da un minimale Ryan Gosling), un replicante, durante la caccia a un omologo da eliminare, scopre un segreto che potrebbe avere conseguenze devastanti per il genere umano: anni prima (30) è nato un bambino generato da una replicante. Entra così in contatto con il cacciatore di androidi Deckard (Harrison Ford), guarda un po’, in fuga da trent’anni.

Ryan Gosling

Blade Runner 2049 (2017): Ryan Gosling


E’ un evento dal tenore biblico, la nascita di un bambino, che si ricollega a 2049 anni prima con l’avvento di Cristo, un re capace di mettere in discussione la scala di potere dell’epoca così come ora, l’avvento del primo essere generato dalla madre sintetica, pone nuove domande etiche sulla creazione e sul ruolo dell’uomo che sta per finire soppiantato dal nuovo scatto evolutivo in qualcosa di più umano dell’umano stesso. Miracolo o abominio? Evoluzione o semplicemente il delirio di onnipotenza creazionista dell’uomo ha fatto collassare il ruolo del creatore di fronte alla creatura?
Il dubbio etico è posto saldamente come pilastro centrale del nuovo Blade Runner 2049 di Denis Villeneuve, attorno al quale il regista monta una storia rarefatta ma di grande impatto visivo, imponendo lo stile come contenuto: grandi immagini, architettura grafica e razionalista, postmodernismo che accarezza l'astrattismo come manifestazione fisica della solitudine. Villeneuve, grazie alla sceneggiatura di Hampton Fancher e Michael Green, non ricopia le istanze del film del 1982, piuttosto le estende e le aggiorna, riduce i dialoghi, si prende il tempo di narrare costruendo una storia che strizza l’occhio alla fantascienza filosofica anni ’70 e privilegia l’aspetto visivo a quello narrativo.  

Ana de Armas, Ryan Gosling

Blade Runner 2049 (2017): Ana de Armas, Ryan Gosling


Scelta quanto mai azzeccata perché il talentuoso regista canadese è un maestro nella costruzione delle immagini e la spersonalizzazione cool degli ambienti ormai corrosi dal passato; la decadenza dell’humus umano brulicante nel buio perenne delle strade ridotte a vicoli tra i cubi abitativi di Los Angeles; la tecnologia sgravata dalla meraviglia della fantascienza e ridotta a elettrodomestico con sentimenti, sono elementi capaci di instillare un fascino melanconico nello spettatore. L’aspetto visivo retro-futuribile del film del 1982 che abbracciava la dialettica filmica degli ambigui noir classici anni ’40 è stata sostituita dalla depravazione del design, giunto ad un livello di spersonalizzazione da apparire quasi alieno, con il quadro (il mondo) solcato da lame di palazzi, scomposto geometricamente così da non dare punti di riferimento.  L’estensione ontologica della nostra realtà in quella filmica è così aggiornata verso una cupezza filosofica e sociale senza scampo, senza memoria, senza radici. Il bambino nato dai replicanti – nato, non creato – è il primo essere che produrrà memoria e quindi stirpe: egli, primo del suo nome è colui che porterà al ribaltamento delle gerarchie umane ormai obsolete.
Il declino della società umana è contrapposto allo splendore della nuova era dei replicanti che sta per palesarsi mentre la terra è in piena parabola discendente, ormai al collasso. In questo mondo liminare, sull’orlo dell’abisso, tra notti senza fine e giorni senza sole, la solitudine degli esseri che attraversano un mondo di dolore è tangibile, resa sopportabile dal placebo della tecnologia che replica i sentimenti umani con avatar digitali e con ricordi indotti, sogni di qualcun altro inoculati nella memoria.

Harrison Ford

Blade Runner 2049 (2017): Harrison Ford


C’è una violenza sociale data ormai per acquisita, ineluttabile, nel film di Villeneuve: la potenza delle immagini, la loro bellezza formale non nasconde una brutalità di fondo che permea la vita di umani e replicanti, ormai uniti bene o male dallo stesso destino. Solitudine e la mancanza di radici  rappresentano il sottotesto politico che allude a una forma evoluta di controllo sociale nel quale ogni ricordo indotto, ogni sogno spacciato per vero, ogni allusione alla classicità dell’arte (spettacolare l’antro dell’azienda Wallace Industries (1), che ospita nel minimalismo della struttura i replicanti incubati all’interno di teche di vetro in pose che richiamano il classicismo di un’epoca ormai rimossa), risulta essere falso.
Finzione sociale che è un’elevazione a potenza della finzione cinematografica: la creazione di un’ontologia secondaria spacciata per vera. K, la sua donna virtuale e gli abitanti della Los Angeles 2049 vivono in una perenne sospensione dell’incredulità. Tranne Deckard, che invece ama ricordare e in questo rivela la sua umanità benché il mistero se egli sia o meno un replicante è mantenuto saldo.
E’ un grandissimo film Blade Runner 2049, e sebbene il confronto con il classico del 1982 sia inevitabile, rimane un film a sé stante con una sua dignità e uno stile che diventa contenuto. Con il suo predecessore condivide altresì lo stesso destino: solo il tempo dirà quanto importante per la storia del cinema.

 

Nota:

(1) Che la Wallace Industries si chiami così in onore di D.F.Wallace, maestro del postmodernismo letterario?

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