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La città delle donne

Regia di Federico Fellini vedi scheda film

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George Smiley

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su La città delle donne

di George Smiley
8 stelle

La città delle donne - Film (1979)

Nel 1980 Federico Fellini è ormai un regista affermato e venerato che si appresta ad entrare nella terza età, proprio in un periodo storico di drastici cambiamenti sociali, economici e di costume. Il mondo moderno e il capitalismo della Guerra Fredda muoiono per lasciare spazio alla post-modernità e al tardo capitalismo dello strapotere della finanza e dell'edonismo rampante. Un mondo a cui a un "vecchio" piccolo borghese come Fellini, nato e cresciuto nell'Italia fascista e interprete di primo piano della rinascita culturale del secondo dopoguerra, pare impossibile adattarsi. Cambia l'immaginario erotico delle masse popolari, mutano il ruolo della donna e il rapporto tra i sessi, il riflusso nella sfera privata toglie forza alle rivendicazioni sociali e di classe dei decenni precedenti, la pubblicità si impone sull'arte e il trash prende piede. Al nostro non rimane altro che ripiegarsi egli stesso nel proprio privato e nei suoi ricordi in un afflato nostalgico memore di "Amarcord", cercando nelle pieghe dell'inconscio il motivo della propria inadeguatezza rispetto al presente. Questa seduta di "autoanalisi" non può non passare attraverso il confronto con uno dei cardini del cinema felliniano: la figura femminile.

Il film inizia con la soggettiva di un treno che si inoltra in una buia galleria circondata da una fitta vegetazione: metafora dell'immersione nelle pieghe dell'inconscio e allo stesso tempo evidente simbolo fallico. Già da questa prima inquadratura si capisce la volontà del regista di indagare il mistero del femminino. Facciamo dunque conoscenza con l'alter ego del regista, Marcello Snàporaz (il solito immancabile Mastroianni), addormentato in uno scompartimento del treno, il quale al suo risveglio nota un'avvenente donna seduta di fronte a lui. Dopo essere sceso alla fermata del treno per seguirla, il vecchio Snàporaz si perde nel bel mezzo di un'ignota campagna per poi ritrovarsi in balia di una serie di surreali e sempre più grotteschi eventi. A questo punto il film assume un andamento quasi episodico che, pur spezzandone eccessivamente il ritmo, rende evidente la natura onirica del viaggio di Snàporaz, vittima da un lato delle proprie paure ancestrali e sedotto dall'altro dai propri desideri reconditi e dai ricordi dell'infanzia.

Oggetto del film è dunque la donna, e la parola "oggetto" non è spesa a caso. E' evidente che per Fellini la donna è prima di tutto oggetto del desiderio maschile: oggetto della sua lussuria, della sua bramosia (e per un vero e proprio "donnivoro" come Fellini non stupisce affatto), della sua curiosità, ma anche del suo bisogno di affetto, di comprensione, di accettazione. In molteplici inquadrature trasuda la gioia della seduzione, dell'erotismo, l'amore di Fellini per il "pianeta-donna" in tutte le sue parti (prevalentemente anatomiche, va detto). Ma subentra prepotentemente anche un altro sentimento: la paura. La maggior parte del film è un lungo e rutilante incubo, in cui il protagonista (e attraverso di lui il regista stesso) viene messo sotto accusa proprio da quelle donne che ha sempre venerato e desiderato, donne che non accettano più di essere relegate al ruolo di oggetti passivi della libidine maschile ma che diventano soggetti attivi di una rabbiosa e schizofrenica ribellione. Snàporaz finisce così per assistere a un paradossale convegno femminista in cui la vena irrisoria di Fellini (al rischio di cadere nel manicheismo) dipinge le nostre moderne suffragettine come una banda di spostate integraliste. Scappato da quella bolgia indemoniata, il nostro è vittima delle molestie di una corpulenta inserviente, viene inseguito da una banda di baby teppiste in automobile e giunge infine nella dimora del dottor Xavier Katzone, una singolare parodia a tinte pornografiche di Gabriele D'Annunzio. A questo punto conviene fermarsi a riflettere. In questa dimora a forma di tempio dell'eros, Snàporaz/Fellini pare finalmente aver trovato rifugio. Le gerarchie sono momentaneamente ristabilite: il padrone di casa incarna la figura dell'oltre-uomo decadente e nichilista dedito al vivere estetico ormai in estinzione, capace di fare incetta di conquiste amorose e di tenere a bada un genere femminile sempre più agguerrito. Questo curioso anfitrione possiede una vera e propria galleria delle sue conquiste femminili: ad accompagnare ogni foto vi è la registrazione degli amplessi di queste ultime. Ma dopo l'iniziale estasi, questo harem paradisiaco risulta fin troppo artificiale e pacchiano, esattamente come il suo signore: ivi la donna è completamente svilita e ridotta ad un mero accessorio da collezione. La grottesca scena in cui una delle soubrette del dottore aspira letteralmente monete d'oro e perle dalla passera ci fa capire che Katzone non sfigurerebbe in un moderno reality show della peggior tv spazzatura o in un film pornografico. L'ultimo colpo a una figura maschile patetica e ormai dimessa è la visita di una pattuglia di poliziotte femi-nazi a regolarne i bollenti spiriti. Nel frattempo Snàporaz incontra sua moglie, anch'ella ospite del novello D'Annunzio, con cui ha un agoscioso confronto nonostante provi ancora dei sentimenti per lei (riflesso forse del rapporto tra lo stesso Fellini e la moglie Giulietta Masina), si concede un assaggio di varietà musicale con le bellissime Donatella Damiani e Rosaria Tafuri e ripercorre su uno scivolo illuminato le tappe che ne hanno formato la sessualità durante l'infanzia, nella scena più bella e puramente felliniana di tutto il film. Arrivati a questo punto, Snàporaz/Fellini viene messo sotto processo dall'intero genere femminile e costretto a confrontarsi con la paura più grande: il fantasma della propria donna ideale. Raggiunto il luogo del fatidico incontro, questa gli appare come una figura irriconoscibile e continuamente cangiante, fino al momento in cui il nostro si risveglia in treno: davanti ai suoi occhi stupiti non vi è altri che sua moglie. Ma proprio quando Snàporaz è ormai convinto di aver soltanto sognato, si accorge che i suoi occhiali hanno una lente rotta proprio come nel sogno appena fatto. In quell'istante nel suo scompartimento entrano tre donne anch'esse incontrate nel sogno. Dopo un attimo di sorpresa, il protagonista sorride e scambia un cenno di intesa con le sue compagne di viaggio per poi riaddormentarsi. Il treno si inoltra in un'altra galleria.

Cosa vuole dirci Fellini con questo ambiguo finale? Forse che la donna ideale non è altro che un miraggio, mentre le donne vere sono le compagne di viaggio verso cui dovremmo riversare più attenzione e considerazione al posto di inseguire fantasie egotiste e prettamente maschili. Ma probabilmente c'è dell'altro, ovvero che nonostante i cambiamenti sociali e culturali, nonostante l'archetipo maschile della generazione a cui apparteneva il regista sia ormai estinto, la donna è comunque condannata a rimanere un mistero per l'uomo, l'oggetto inconoscibile e irraggiungibile del desiderio maschile, la cui natura sfuggente lo attrae e altresì lo impaurisce. Ma dopotutto non è un male desiderare le donne, correre loro dietro e sognarle quando sono irraggiungibili. E in fondo, non dispiace nemmeno a loro.

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