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La città delle donne

Regia di Federico Fellini vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su La città delle donne

di hallorann
6 stelle

Renzo Rossellini della Gaumont disse nel 1979: “Non c’è Papa abbastanza grande per Michelangelo, non c’è produttore abbastanza grande per Fellini”. Questa dichiarazione venne rilasciata al termine delle faticosissime riprese de LA CITTA’ DELLE DONNE, costate sette miliardi dell’epoca. Già, Fellini e i produttori. Dagli esordi fino agli ultimi film il suo genio ha sempre avuto problemi con i finanziatori. Si racconta che facendo il classico giro delle sette chiese con il copione de LE NOTTI DI CABIRIA, si imbatté in Goffredo Lombardo della Titanus che liquidò così i suoi film: “…Tu hai fatto un film sui froci (I VITELLONI), poi uno sui zingari zozzi (LA STRADA), uno sui bidonisti (IL BIDONE) e adesso mi tiri fuori le prostitute…su chi sarà il tuo prossimo film!?”. “Sui produttori”, rispose piccato Fellini. Aneddoti a parte, la lavorazione de LA CITTA’ DELLE DONNE fu falcidiata da numerose disgrazie, a tale proposito il regista di Rimini disse: “Da Mèlies a oggi mai si sono verificati tanti guai intorno a un film”. Nell’aprile del ’79 muore Nino Rota, il suo musicista prediletto lasciandolo in uno stato di grande tristezza. Il 3 maggio iniziano le riprese, alla settima settimana di lavorazione, il 27 luglio muore il co-protagonista Ettore Manni (Sante Katzone nel film) maneggiando una pistola (non si è mai chiarito il mistero se fu incidente o suicidio). Le riprese vengono sospese per due mesi, in modo che Fellini e lo sceneggiatore Bernardino Zapponi riorganizzino il piano di lavorazione. Tagliata la parte di Manni e sostituita nelle scene mancanti da una controfigura, il 24 settembre si riparte ma le interruzioni non sono finite. Il protagonista Marcello Mastroianni è tormentato da una serie di orzaioli culminato con un intervento chirurgico risolutore, Fellini si rompe un braccio. Il 29 novembre finalmente si chiude. La corposa trama narra di Snaporaz, un cinquantenne che viaggia in treno, dorme, si risveglia alla vista di una bella donna. Sguardi d’intesa, ammiccamenti. La segue alla toilette, si baciano, il treno si ferma, lei scende e lui: “Ah vecchio Snaporaz!” al seguito. Tra prati e boschi la raggiunge, lui vuole un altro bacio e lei lo pianta in asso. Giunge al Grand Hotel Miramare in cui si svolge un convegno di femministe. Snaporaz scambiato inizialmente per un giornalista viene ridicolizzato dalla donna inseguita e rischia il linciaggio. Donatella, una pattinatrice lo salva. Questa figura dolce, sexy e provocante, “una ragazza piena di contraddizioni”, apparirà agli occhi del protagonista in diverse situazioni. Snaporaz sfugge a una contadina grassa che vuole violentarlo e a un gruppo di ragazze scatenate e spregiudicate. In piena notte raggiunge la villa-fortezza del Dr. Sante Katzone che scopre essere un suo vecchio compagno di scuola, grande amatore ed erotomane. Questi sta per festeggiare la conquista numero diecimila. Snaporaz intanto si diverte a passeggiare nei corridoi della villa adibiti a grottesco cimitero di tutte le conquiste dell’attempato ed eccessivo padrone di casa, il quale a sua volta spegne le candeline pisciandoci sopra. Pigiando sui loculi vengono riprodotte frasi e ansimi delle donne passate in rassegna. Snaporaz durante la perlustrazione incontra l’isterica e risentita moglie, al termine dei festeggiamenti due donne in divisa irrompono in casa e gli uccidono un alano. Lui si ritira, non prima di aver seppellito il cane e baciato la statua della mamma (ecco l’uscita di scena affrettata e stramba del personaggio di Manni). Snaporaz viene ospitato nella villa, balla con due soubrettine discinte, rimboccato in un letto conchiglia da una vecchina e dalle domestiche vorrebbe approfittare delle due belle fanciulle ma arriva la moglie che in modo aggressivo canta e vuole fare l’amore. Snaporaz “ascolta le voci” e si rifugia sotto il letto, da lì sbuca in un ottovolante che lo conduce in una sorta di Luna Park dei ricordi illustrati da tre vecchi maghi. Dopo varie vicissitudini si risveglia nel treno dell’inizio e di fronte si trova la moglie, nello scompartimento riappaiono le tre donne protagoniste del suo sogno/incubo. Richiude gli occhi e il treno entra in un tunnel oscuro. Fellini in LA CITTA’ DELLE DONNE spinge il pedale onirico della sua fantasia. Ripercorre alcune tappe (già esplorate meglio) della sua infanzia e mette per immagini le ossessioni erotiche dell’uomo, sogni di harem femminili, la crisi del maschio, l’attrazione e la paura dell’altro sesso e i conti con il femminismo allora imperante. Su questo argomento Fellini si fa sarcastico e pungente (non mancarono le contestazioni per come rappresentò, appunto, le femministe). Per fortuna che per l’alter ego Snaporaz (un super Mastroianni) era solo un sogno, il ventre sicuro del sogno. Le disgrazie raccontate all’inizio sono sembrate ripercuotersi sul risultato finale, un’aura lugubre aleggia in tutti i 145 minuti, alcune parti sono pedanti e noiose, altre irrisolte e meno riuscite. Restano però diverse invenzioni davvero mirabili e le connotazioni fumettistiche del personaggio Snaporaz (a partire dal nome). L’incontro con Luis Bacalov non fu proficuo, nel cast da segnalare due curiosità: la graziosa Donatella Damiani pochi anni dopo scivolò in riviste hard, Marcello Di Falco volto noto del cinema di Fellini e di quello televisivo di Rossellini cambiò sesso negli anni ottanta.

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