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Logan - The Wolverine

Regia di James Mangold vedi scheda film

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La recensione su Logan - The Wolverine

di alan smithee
7 stelle

Logan, vulnerabile e morente, catapultato in un crepuscolare futuro che neutralizza i diversi, ritrova uno stimolo nel cercare di riunire l'ultima giovane mutante alla sua specie. E ritrova,a suo modo, il calore di una famiglia che pensava irrimediabilmente persa, in un film maturo ed intenso che rifugge le banalità di molti Marvel-movies.

Siamo nel 2024 e i mutanti si sono praticamente estinti: Logan, emaciato e pieno di problemi fisici che riesce sempre meno a celare, di professione fa l'autista di limousines, e ogni tanto, soprattutto se provocato, reagisce con la violenza ferina che caratterizza l'istinto animale che lo ha reso micidiale nel suo passato di combattente mutante con gli Xmen.

Poi nel rifugio - che condivide con un altro sopravvissuto derelitto e impossibilitato ad esporsi alla luce del sole, e nei pressi di un hangar arrugginito che ospita un professor Xavier quasi sempre pressoché narcotizzato per evitare che dia sfogo ai suoi poteri micidiali ed incontrollati a causa di una demenza senile sempre più ricorrente - l'ex combattente si cura le ferite: pus e spurghi che affliggono i micidiali artigli retrattili in adamantio, dolori micidiali al corpo martoriato, le cui ferite più attuali stentano a rimarginarsi con la sfrontatezza meravigliosa e quasi magica dei bei tempi in cui poteva essere considerato invincibile, o quasi immortale.

Il giorno in cui il relitto dell'eroe del passato viene contattato da una donna messicana con al seguito una bimba che la donna ritiene mutante, l'uomo cerca di dileguarsi, ma viene coinvolto in una missione che consiste nel portare la piccola in una destinazione segreta che dovrebbe ospitare quelle che dovrebbero essere le nuove leve della generazione mutante. Una stirpe erroneamente creduta estinta e presa di mira da alcuni biechi e violenti aguzzini, veri e propri cacciatori di taglie col compito di scongiurare la sopravvivenza della specie in via di estinzione.

Dal filone notissimo di uno dei gruppi cult della storia dei supereroi, ecco la terza parte di uno spin-off maturo che, per la seconda volta in mano al valido cineasta James Mangold, si candida a divenire uno dei pochi casi in cui lo sviluppo parallelo supera il film capostipite.

Mangold, che ha ideato la storia, e l'ha sceneggiata assieme a due validi collaboratori come Michael Green e Scott Frank, evita i tranelli pericolosi rappresentati dal vittimismo e dal perbenismo tanto cari quando si tratta di mettere in campo supereroi, o ancor più le smancerie che spesso inevitabilmente entrano in gioco quando entrano in scena dei bambini, per di più qui dotati di superpoteri in via di definizione - e ci disegna un eroe allo sbando, compromesso sia nel fisico che nella psiche, scoraggiato, scontroso, dal linguaggio duro e dai modi ancora più spietati: si difende con le armi micidiali a disposizione e non immobilizza l'avversario ma lo finisce nel modo più violento.

E la violenza del film, quasi sconcertante tanto appare cruda e realistica, di fatto si tramuta in uno degli elementi più convincenti della pellicola, per nulla gratuita ma anzi coerente alle atmosfere inquietanti che fanno da contorno alla vicenda.

E l'eroe, tutto il contrario dell'affidabilità e della disponibilità, appare rissoso, violento, teso, persino con la ragazzina, volgare nel linguaggio: un genitore pessimo insomma, svogliato, disilluso, consapevole che la propria fine si sta avvicinando e che qualcosa lo sta avvelenando nemmeno tanto lentamente, rendendolo semnpre più rabbioso, ma anche vulnerabile.

Un eroe che fu, del quale ormai rimangono vivi solo il rancore animale e la sete di vendetta, che lo trasformano in una mina vagante pronta ad esplodere alla prima sollecitazione.

E Hugh Jackman, barba trasandata ed irsuta, sempre più tendente al grigio, sguardo devastato da un dolore più interiore che fisico, nel dare l'addio (così parrebbe davvero, vedremo se sarà vero) al suo personaggio più noto, riesce davvero e per la prima vera volta a dimostrare da una parte il suo attaccamento al personaggio, e dall'altra a fornirci la sua interpretazione più sofferta e sfaccettata: la più dramamtica, la più vitale, quella della maturità ormai acquisita nel mestiere e con l'età.

E James Mangold (di lui ricordo su tutti Copland, Identità e Walk the line-Quando l'amore brucia l'anima), già forte di una carriera piuttosto interessante e versatile che ha saputo spaziare nei generi più disparati, si conferma una volta di più, forse definitivamente, l'autore che è e non il semplice mestierante al soldo delle majors: un cinesta acuto, che si adopera a scrivere e a mettere in scena con scrupolo e con un innegabile stile che sa adattarsi alle circostanze, ai generi, alle sfumature più intime di personaggi spesso erroneamente considerati solo per l'appeal fisico che il cinema che li ha preceduti gli ha disegnato addosso.

Logan-The Wolverine sa distanziarsi nettamente dalla faciloneria spesso disarmante e bidimensionale dei Marvel-movies, tralasciando più che può l'azione fine a se stessa e preoccupandosi di guardare all'interiorità sconvolta dei suoi protagonisti, tutti fuggitivi e braccati a causa ognuno della propria diversità che un tempo li ha resi eroi, ed ora li ha relegati a fuggiaschi intenti a scomparire dall'attenzione di chi li vuole eliminare, o quantomeno relegare a fenomeni da circo. 

 

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