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Mister Universo

Regia di Tizza Covi, Rainer Frimmel vedi scheda film

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La recensione su Mister Universo

di laulilla
8 stelle

il mondo del circo che si muove fra la crisi, temo irreversibile, e il rimpianto di un passato che non può tornare, è detto con delicata simpatia per gli sconfitti, che con commovente ostinazione non vogliono arrendersi al cambiamento velocissimo che li sta marginalizzando.

Tizza Covi che, insieme allo sceneggiatore Rainer Frimmel, firmò il bellissimo docu-film del 2009 non-e-ancora-domani-la-pivellina (si era visto  nelle nostre sale per pochi giorni nel corso del 2010) è tornata ad allietarci con un altro bel lavoro girato ancora con lo stesso partner.

 

Di nuovo al centro del suo cinema il mondo sempre più marginale degli artisti circensi e di tutti coloro che lavorano nell’universo magico dei trapezisti, dei giocolieri, dei domatori, degli illusionisti, dei clown…

Mister Universo è al momento del film un vecchio signore molto anziano, di nome Arthur Robin, da tempo ormai fuori dal circo in cui aveva fatto il sollevatore di pesi.

Il suo eccezionale corpo muscoloso nel 1955 gli era valso il titolo di Mister Universo, nonché l’ammirazione di molte signorine, fra le quali egli aveva trovato la moglie Lilly, alquanto più giovane e tuttora fedele sostegno dei suoi giorni da vecchio. Nonostante l’aspetto ancora gradevole e giovanile, Arthur non riesce più a curvare, come in passato, le barre di ferro per creare gli amuleti ricercati nel mondo del circo, dove molte attività pericolose sembrano destinate all’insuccesso senza la garanzia …dei ferri di cavallo. Per ricuperare appunto uno di quei portafortuna, che gli era stato rubato, il domatore dei grossi felini, Tairo Caroli, protagonista del film, si mette alla ricerca di Arthur, mentre la contorsionista Wendy Weber si organizza per imparare a cacciare il… malocchio.


Con ironia bonaria i registi seguono le peripezie dei due protagonisti, ma in realtà scavano nelle ragioni vere della crisi di quel tipo di spettacolo, che non trova più nei bambini, nativi digitali e ormai smartphone-dipendenti, il pubblico elettivo, cosicché ora i numeri, anche quelli più emozionanti, si svolgono davanti a un pugno di spettatori, ignari delle sofferenze degli animali vecchi e malati, ancora costretti a esibirsi, delle tensioni fra gli addetti che si incolpano a vicenda per le difficoltà crescenti, delle malattie reumatiche che minano la salute di Wendy e di tutti quelli che esibiscono con apparente naturalezza il loro corpo dolorante.

Tutto questo mondo che si muove fra la crisi, temo irreversibile, e il rimpianto di un passato che non può tornare, è detto con delicata simpatia per gli sconfitti, che con commovente ostinazione non vogliono arrendersi al cambiamento velocissimo che li sta marginalizzando. Allo stesso modo non si arrendono Tizza Covi e Rainer Frimmel che persistono a girare i loro umanissimi documentari su pellicola, rifiutando la resa al piatto mondo del digitale. Con quali prospettive? Per ora con un certo successo nella nicchia di un pubblico di gusti raffinati, ma anche col riconoscimento delle giurie internazionali, come dimostra la menzione speciale che questa bella coppia di cineasti ha ottenuto al recente festival di Locarno.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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