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I misteri di Shanghai

Regia di Josef von Sternberg vedi scheda film

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La recensione su I misteri di Shanghai

di EightAndHalf
8 stelle

La vendetta di Madama Butterfly. 

Ogni essere umano, di qualsiasi razza e di qualsiasi nazionalità, ha il suo personalissimo Inferno, una sequela di orrorifichi gironi che possono, nel passato, trovare la loro ambigua e minacciosa concretizzazione. Ognuno trasporta con sé i rancori e le promesse infrante di un tempo che fu e che tradì le proprie aspettative, avvenimenti che portano con sé il marchio inalienabile del tradimento. E ognuno, trasportando il suo Inferno, ci sguazza, senza sapere che rimestando e ricalpestando gli stessi stracci macchiati di sangue non ricompatterà la sua esistenza, non arriverà a nessuna catarsi. 
Nella folla da bolgia infernale del casinò di Madama Gin Sling i corpi si distinguono da quelli che avrebbe potuto raccontare Dante soltanto per l'abito e per i movimenti, altrettanto confusi ma tesi a inquadrare stavolta pose aggraziate e luccicanti, come se ognuno cercasse di distinguersi ed elaborare la propria fortuna nell'illusione di trovarsi in un piccolo Paradiso. Ma i Campi Elisi stanno solo nell'immanente illusione dello splendore e dell'eleganza, e il marciume e lo sporco che stanno sotto (la pena dell'esistere come il vizio del gioco) sono il vero contenuto di una regia sternberghiana splendida e variegata, spettacolare, talmente kitsch da creare reale scalpore (con una forza tutt'ora indomita). D'altronde, cos'altro è il kitsch se non l'abellimento del brutto, dell'osceno, dunque la componente fondamentale di un certo tipo di cinema che non guarda certo alla moralità? E' dunque, con lo sguardo all'umanità, che Sternberg finisce per creare un curioso riflesso metafilmico fra ciò che effettivamente racconta e la struttura stessa dell'intero melodramma, ambientato non a caso nella Shanghai caotica e colonizzata che si ritrova costretta negli scenari metropolitani trapiantati direttamenta dall'Occidente, come succube di un'incipiente globalizzazione. La presenza occidentale è infatti preminente, e si illude di poter rimodernare l'urbanistica della città portando anche un po' di sana morale ma facendo praticamente il contrario. Ma quale fascino quella bolgia infernale di Madame Gin Sling, un magnete che attrae a sé - per polverizzarli - qualunque dubbio e qualsiasi freno inibitore! Quell'eleganza infernale è la regia stessa di Sternberg, che pure acconcia la sua luciferina Ona Munson con parrucche strabilianti e indimenticabili. E il fascino che si prova nei confronti di quella bellezza (certe carrellate, certi primi piani, hollywoodiani ma putridi subito sotto la maschera - del tempo) è lo stesso vizio che attanaglia la meravigliosa Gene Tierney, personaggio sgradevole e lontano dal fascino inquieto di Laura, stavolta vittima di se stessa, a dimostrazione di come chiunque nel film è sconfitto e nessuno ha la possibilità della seppur minima redenzione. Nell'ambito della mediocrità fallisce anche il genio malvagio di Madame Gin Sling, un'inconfessabile e (in)consapevole Medea che incute timore con il suo carisma ma cela un cuore spezzato sotto la sua scorza di pietra (cristallina, magica). Una Madama Butterfly risorta.
Shanghai Gesture è dunque pervaso da un'aura decisamente morbosa, perversa, eccezionalmente ambigua, in cui l'essere umano, nel suo affollamento, ingigantisce i propri demoni interiori e li concretizza affidandosi a una fortuna che è solo un Caronte che traghetta sempre più verso l'autodistruzione. Gelido, senza compassione. Cinema vivo su uomini già morti.

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