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Fata Morgana

Regia di Werner Herzog vedi scheda film

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FABIO1971

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Fata Morgana

di FABIO1971
10 stelle

Questo è il film in cui probabilmente ho perso ogni paura”.

[Werner Herzog]

 

 

I. Die Schöpfung (La Creazione)

 

L'arrivo. In continuo ripetersi: l'atterraggio, per quasi quattro minuti, di otto aerei, uno dopo l'altro. Con l'aumentare della temperatura, le immagini [confrontare l'atterraggio del primo aereo con quello degli ultimi tre] diventano sempre più sfocate, quasi irreali, velate e impalpabili come il riflesso - la visione - di un sogno. Poi, il miraggio, la “Fata Morgana”, rifrazione della luce del sole tra gli strati d'aria calda [Herzog: “Qualcosa di non palpabile, di non chiaramente definito”]. Sahara, dunque: oltre la realtà, alla ricerca (quest) di immagini “non ancora viste”. L'obiettivo della macchina da presa, avido, si confronta subito con la vastità del deserto, prima con un'inquadratura fissa, poi con una camera car sulle sterminate distese di sabbia, che si interrompe di fronte all'illusione del miraggio [Herzog: “Sullo sfondo sembra che ci siano dei laghi, ma in realtà non c'è acqua, non ci sono isole, c'è solo il deserto. Quello che si vede all'orizzonte non esiste: ci siamo andati in macchina e non abbiamo trovato niente, né rocce, né isole, niente”].

 

Qui si narra come un tempo il mondo fosse sospeso nell'infinito, immerso in un profondo silenzio, come si cullasse dolcemente, solitario e desolato. Non esistevano uomini, animali, uccelli, pesci, granchi, pietre, grotte, erba o cespugli. C'era soltanto il cielo, il volto della Terra non si mostrava.

 

È un miraggio anche un'automobile che appare all'orizzonte [Herzog: “Sembrava un'auto. Siamo andati in quel punto e non c'erano tracce né solchi: un'auto doveva essere in viaggio da qualche parte e noi non l'abbiamo vista”]. Un attimo di silenzio, poi, accompagnata in colonna sonora dal Kyrie della Krönungsmesse di Mozart, la sacra contemplazione delle dune del deserto (in camera car): la grazia, misteriosa e primordiale, delle forme. Ipnosi ed estasi.

 

E sotto l'arco del firmamento si stendeva immobile il mare. Non esisteva nulla che assumesse forma o che si manifestasse con un suono, nulla che si muovesse, che avesse vita, nulla che facesse pensare a un'esistenza precedente. C'erano soltanto quiete e silenzio, oscurità e notte, solo l'acqua immobile, solo il mare calmo, un'unica distesa. Non esisteva nient'altro. C'erano solo la Creatrice e il Creatore, la Potente e Gucumatz, i Progenitori nelle acque infinite e gli spazi erano il regno del dio chiamato Cuore del Cielo. Accadde che la parola del dio arrivasse fino alla Potente e a Gucumatz, nell'oscurità e nella notte: era il messaggio della creazione e della vita.

 

Una strada taglia in due il cuore del deserto, grossi silos all'orizzonte, la Third Ear Band in colonna sonora, pozzi di petrolio in Algeria [Herzog: “Sembrava il paesaggio di una città aliena”], fuochi.

 

La Potente e Gucumatz meditarono profondamente, si consigliarono tra loro e alla fine furono d'accordo su tutto: fu così che nei loro piani presero forma l'idea della luce e quella dell'uomo. Decisero di far crescere prima i germogli, gli alberi, i rampicanti e poi di affidare a lui, il dio Cuore del Cielo, la nascita della vita e la creazione degli uomini. Tre erano le sembianze in cui si rivelava il Cuore del Cielo: la prima è Caculhá-Huracán, il grande guizzo di luce; la seconda è Chipi-Caculhá, il piccolo lampo; la terza è Raxá-Caculhá, la saetta verde. Il dio si presentò alla Potente e a Gucumatz in tutte e tre le sembianze per concordare la nascita della luce e della vita: “Che cosa fare per seminare l'esistenza e vincere le tenebre? Chi fornirà cibo e sostentamento?”.

 

Dalle montagne alla carcassa di un aereo schiantato a terra [immagine a cui il testo della voce off farà riferimento durante la seconda parte: “Anche i relitti degli aerei sono sparpagliati con cura nel deserto già prima della caduta”], alla camera car sul deserto [Herzog: “Non c'era civiltà nel raggio di 1600 km. A vederlo non è un panorama molto spettacolare, è qualcosa di diverso: è primordiale e triste. Qualcosa deve essere andato male nella Creazione”] e alla ripresa aerea che riesce finalmente a delimitarne lo spazio, oltrepassando in volo le distese di sabbia per arrivare all'acqua, al cielo, ai fenicotteri, sul lago Nakuru, in Kenya [immagini realizzate durante la lavorazione di I medici volanti dell'Africa orientale].

 

E la Potente e Cucumatz così parlarono: “Che l'acqua si ritiri e abbia origine la terra, che nasca la vita, che sia fatta la luce in cielo e in terra. Ma non vi saranno splendore e gloria per questa fatica finchè non sarà stato creato l'uomo”. E subito, per opera delle tre Saette, ebbe origine la Terra: bastò che dicessero “Terra!” e istantaneamente essa si formò. Dapprima come una nuvola vaga, ma presto si udirono sorgere le montagne dalle acque in tutta la loro immensità. Cucumatz si rallegrò: “È stato un bene che tu Cuore del Cielo, tu Huracán, tu Chipi-Caculhá e tu Raxá-Caculhá, siate scesi giù”. Essi risposero: “La nostra opera sarà perfetta”. Si formarono quindi anche le pianure e le vie dell'acqua furono tracciate con ordine ai piedi delle montagne e in mezzo ad esse.

 

Ancora il miraggio, il lago che non c'è [Herzog: “È come un film di fantascienza con delle finestre su un altro mondo, su una visione, un miraggio”], un'immensa distesa di sabbia bianca, spazio senza limiti visibili e terra arsa dal sole.

 

Poi si dovette pensare agli animali delle montagne, custodi delle foreste: cervi, uccelli, puma, giaguari, serpenti, i serpenti a sonagli e le vipere. E i Progenitori dissero: “Perchè deve esserci soltanto deserto, soltanto silenzio, sotto gli alberi e le piante rampicanti? Sarebbe più saggio che qualcuno se ne prendesse cura. Tu, cervo, dormirai lungo i corsi d'acqua, nelle gole delle montagne, tra l'erba e i cespugli, e ti moltiplicherai nelle foreste. Voi uccelli, vivrete e nidificherete sulle cime degli alberi e sulle piante rampicanti: qui procreerete e vi moltiplicherete”.

 

Le montagne dell'isola di Lanzarote, nelle Canarie [dove sono in corso anche le riprese di Anche i nani hanno cominciato da piccoli], poi di nuovo nel sud del Sahara: deserto, dune aliene, una moschea sepolta nella sabbia, palme, edifici, un cimitero musulmano, una base militare in Algeria.

 

I Progenitori assegnarono a ogni animale un posto per vivere e quindi ordinarono al cervo e agli uccelli: “Parlate normalmente, impostate bene le vostre voci, non schiamazzate e non urlate senza motivo, esprimetevi ordinatamente, ciascuno secondo le caratteristiche della sua specie”.

 

Bidoni di petrolio e benzina, i fuochi dei pozzi, baracche di lamiere, bambini, capre, tracce di vita desolata nel nulla dentrofuori il deserto, fino alle carcasse di animali attorno a un pozzo prosciugato.

 

Gli animali, però, non riuscirono mai a parlare come gli uomini. La Creatrice e il Creatore dovettero riconoscere che la loro opera era stata incompleta: “Non sanno nemmeno pronunciare il nostro nome, pur essendo noi i loro creatori: questo non rientra nell'ordine naturale delle cose”. La Creatrice, il Creatore e i Progenitori cercarono allora di creare nuovi esseri viventi: “Occorre riprovare, è giunto il tempo per la semina dell'uomo. Diamo vita a un essere responsabile custode della creazione”.

 

Un villaggio, lamiere, baracche, palme. Un bambino mostra un fennec, la volpe del deserto, alla macchina da presa, che poi, immobile [Herzog: “L'abbiamo posizionata e poi abbiamo volutamente distolto lo sguardo. È molto strano come un'immagine si organizza da sé: capre sullo sfondo, i bambini che se ne vanno, non si sa perchè ne rimane solo uno, la sabbia trasportata dal vento...”], si lascia osservare dalla gente del luogo e accoglie lo sguardo verso l'obiettivo di un gruppo di bambine [Herzog: “Sono spaventate, ma anche curiose. C'è una strana incertezza in questa immagine: che cosa vedono loro e che cosa vediamo noi? Sono spaventate dalla cinepresa? Però ne sono anche attratte e scappano: che cosa le fa scappare? È tutto molto strano perchè non c'è regia”].

 

Le carni dell'uomo furono scolpite nel legno di tzité. Per le carni della donna, la Creatrice e il Creatore usarono il midollo delle canne palustri. Ma anche i nuovi esseri nacquero privi dell'intelletto e della parola e così furono distrutti, annegati.

 

Un carro su una strada, Sea of Joy dei Blind Faith in colonna sonora, le cascate nella terra dei Dogon, tribù di astronomi a sud oltre il Sahara, con la loro misteriosa città.

 

Per causa loro la faccia della terra si oscurò, scesero le tenebre e cadde la pioggia, notte e giorno. Gli animali, piccoli e grandi, si raccolsero in gruppi, ma furono respinti dagli alberi e dalle rocce. Tentarono di raggiungere i rifugi nelle montagne, ma precipitarono. Tentarono di salire sugli alberi, ma gli alberi se li scrollarono di dosso. Tentarono di introdursi nelle caverne, ma queste si chiusero davanti a loro. In tal modo avvenne la seconda distruzione degli esseri creati a sembianza dell'uomo: questi esseri predestinati alla rovina furono cancellati dalla faccia della Terra.

 

Sahara centrale, decine di migliaia di barili di petrolio e bidoni di benzina abbandonati in un'area dove la Francia aveva effettuato esperimenti atomici (la radioattività, “che non si può riprendere, vedere, sentire o toccare”), fino al ground zero. Poi, un brano tratto dalle Leçons de Ténèbres di François Couperin e, dalle montagne di origine vulcanica di Lanzarote, ancora paesaggi da un altro pianeta. Chiusura sul miraggio dell'automobile, di nuovo l'immagine riflessa da un altrove indefinibile.

 

 

II. Das Paradies (Il Paradiso)

 

Africa, oggi. Voci dal “paradiso”: volti, sguardi, parole [immagine e linguaggio]. Un veterano della seconda guerra mondiale, cieco, accompagnato da un bambino con una radio appesa al collo, si rivolge alla macchina da presa [Herzog: “spiegando qualcosa che non capiamo”].

 

Il piccolo Peter Pan appare volando all'orizzonte aggrappato a un ombrello, i capelli scompigliati dal vento, zuppo di pioggia e tremante di freddo, intirizzito e molto infelice.

 

Il bambino con il fennec, ora tra le dune del deserto.

 

In paradiso si attraversa la sabbia senza vedere la propria ombra: qui il paesaggio non ha alcun significato.

 

Una lunga camera car segue mura, recinti e case di un villaggio. La carcassa di un animale morto.

 

In paradiso c'è soltanto Dio che osserva, per questo si può guardare la sabbia senza vedere il proprio volto. In paradiso le porte sono aperte a tutti.

 

Ancora villaggi, case di pietra, bambini. Poi, in colonna sonora, Hey, That's No Way to Say Goodbye di Leonard Cohen, due uomini sporchi di calce, volti e corpi segnati da una vita impossibile.

 

In paradiso si svolgono lavori che nessuno, altrove, eseguirebbe. Si scavano caverne senza mai incontrare uomini, si attraversano portali di case inesistenti. Qui gli uomini preferiscono l'ombra al sole cocente e ogni tanto si vedono anche rarissimi animali.

 

Uomini e animali tra stracci, polvere, baracche di lamiere, ferraglia, carcasse arrugginite di macchine e furgoni, sotto il sole infuocato, storie e vite intorno alla desolazione. Un uomo, un impiegato comunale di Berlino, mostra un varano alla macchina da presa e racconta come, da oltre 16 anni, si sia appassionato alla vita di questi animali studiando come riescono a sopportare il caldo infernale e a procurarsi il cibo [Herzog: “L'abbiamo incontrato nel deserto: era molto orgoglioso di mostrarci quanto se ne intendesse di queste strane lucertole”]. Un altro, un ex soldato tedesco della legione straniera passato a combattere per l'Algeria e rimasto ferito durante la guerra d'indipendenza, legge una lettera ricevuta da casa vent'anni prima: accanto a lui un bambino, che chiede “un dinaro” all'uomo con la macchina da presa (risposta: “Cinque marchi o niente”...).

 

In paradiso ti piove la manna dal cielo: ti diverti anche se non vuoi, perchè in paradiso divertirsi è obbligatorio.

 

Tartarughe marine in una piscina a Lanzarote, nelle Canarie, poi i container-alloggio degli operai in un campo petrolifero e, in Costa d'Avorio, un gruppo di bambini che ripete in tedesco “La guerra lampo è una follia” insieme a una volontaria di un'organizzazione umanitaria.

 

In paradiso anche i miscredenti spostano le montagne e basta la volontà delle madri per impedire le guerre.

 

Africa Occidentale, una spiaggia sull'oceano: tre bambini si mettono in posa, pugni chiusi e braccia alzate al cielo, davanti alla macchina da presa.

 

In paradiso perfino le rovine significano felicità e gli spazi aperti sono senza confine. In paradiso Dio ha predisposto tutti i paesaggi con lungimiranza: anche i relitti degli aerei sono sparpagliati con cura nel deserto già prima della caduta.

 

Camera car: Suzanne di Leonard Cohen in colonna sonora, cisterne, recinzioni, una base militare in disuso in Algeria, le impalcature di un capannone abbandonato nel deserto, una città, oasi catacombale di cemento e asfalto, tra container, strade, scene di vita quotidiana, cantieri.

 

In paradiso saluti anche se non vedi nessuno, litighi con gli estranei per evitare di farteli amici. In paradiso gli uomini nascono già morti.

 

Ancora Leonard Cohen in colonna sonora (le note magiche di So Long Marianne), ancora, davanti all'obiettivo della camera car, una marcia funebre sulle architetture del Nulla. Poi una lunga ripresa aerea, di nuovo la macchina da presa ad altezze impossibili, puntata su un vulcano in Kenya.

 

Mentre dormi, sei corroso dagli acidi e dalle sanguisughe. Mentre sogni, una mela cade dall'albero e ti colpisce in fronte. Mentre aspetti, i treni deragliano, si spezzano in due e tu respiri piano, senza più pensieri, come se fossi già cadavere. Mentre giaci, le stelle, qua e là, senza un preciso ordinamento, brillano nell'infinito. Mentre dormi, Dio e Maria attraversano silenziosamente i campi.

 

Africa, oggi. Le dune del Sahara: la macchina da presa, con una breve panoramica, abbandona le illusioni del paradiso e torna nel deserto a contemplare, estatica, quelle dei miraggi (alcune persone che scendono da un pullman, l'automobile che non c'è all'orizzonte).

 

 

III. Das Goldene Zeitalter (L'Età dell'Oro)

 

Lanzarote: al pianoforte una donna (la tenutaria del bordello locale), alla batteria un uomo (uno dei protettori delle prostitute), una canzone in uno spagnolo incomprensibile. La macchina da presa si ferma su di loro, li fissa con insistenza, quasi ostinata nel cogliere un (non)senso alla loro esibizione, isolando la tristezza nell'inespressività dei loro volti (l'uomo nascosto dietro un paio di occhiali da sole - sempre gli stessi di Anche i nani hanno cominciato da piccoli - e la donna, ripresa di profilo, con lo sguardo sempre fisso nel vuoto).

 

Nell'Età dell'Oro l'uomo e la donna vivono in armonia. Ora, per esempio, sono ripresi dall'obiettivo della macchina da presa tutti e due con la morte negli occhi, il sorriso sulle labbra e le mani protese verso la vita. Il correre ha il potere di ritemprarli entrambi, anche il sollevamento pesi è salutare. Addirittura balsamico sarà per loro il salto dal faro nel nulla.

 

Un bambino su una spiaggia indica alcune tracce sulla sabbia.

 

Nell'Età dell'Oro si riconoscono ancora tracce del paradiso. Qui, per esempio, un tempo era approdata una nave, qui le onde si infrangono rabbiosamente contro la riva e giù, sullo sfondo, sembra alzarsi il fumo: non è poi uno spettacolo tanto brutto. Anzi, è meglio di quel che si potesse immaginare.

 

Una comunità religiosa in Costa d'Avorio, una cattedrale in riva all'oceano, canti.

 

Nell'Età dell'Oro l'uomo non si dimentica mai di pregare perchè non vuole che Dio si inquieti. Più che per la morte, l'uomo è sgomento per il fumo che copre il mondo.

 

I turisti, folli alieni in un paesaggio di un altro pianeta: Herzog si imbatte in un pullman di turisti occidentali, a cui chiede di nascondersi in alcune buche [“e di essere folli quanto gli uomini dietro la cinepresa”] e li riprende mentre si dimenano nella sabbia [macchina da presa puntata nuovamente sul nonsense].

 

Sottoterra i bambini hanno trovato un fuoco, ma i genitori ne sono impauriti e vogliono improvvisamente tornare nelle case di pietra. Nell'Età dell'Oro il solo pensiero del progresso genera angoscia e spavento.

 

Di nuovo la coppia nel bordello, alle prese con un'altra canzone [la straniante meccanicità di esecuzione e movimenti dei due performer è ora ripresa da più lontano]. Poi, un uomo che parla di un terreno misterioso, di dromedari, del silenzio, di una piantina cresciuta in un vaso, un (altro) uomo con la macchina da presa e un uomo che ride. Infine, un sub con la tartaruga marina in una piscina di Lanzarote, prima di tornare ancora nel bordello, direttamente sul primo piano della donna, ripresa sempre di profilo, al pianoforte e poi sull'uomo alla batteria e sul suo canto senza passione [ancora tristezza, isolata e reiterata], che termina sulle riprese aeree del lago Natron, nell'Africa Orientale, sui riflessi della luce del sole sulla sua superficie. Di nuovo un altro pianeta.

 

La pace nell'Età dell'Oro non ha uguali. La pace ha sconfitto la guerra. Nulla è grande come la sabbia. Nulla è grande come la pace. Il Paese è in delirio per la pace.

 

In colonna sonora la reprise di Sea of Joy dei Blind Faith accompagna il ritorno al punto di partenza: la Fata Morgana, il miraggio [prima l'automobile che si vede ma non c'è, poi il lago], riflessi da un regno oscuro.

 

 

Fata Morgana

Nel novembre del 1968, dopo l'uscita del lungometraggio d'esordio Segni di vita, Herzog parte per un lungo viaggio in Africa (“Sapevo solo che dovevo attraversare il Sahara”), da cui tornerà nel 1970 con tre film: il documentario per la televisione tedesca I medici volanti dell'Africa orientale, Fata Morgana e Anche i nani hanno cominciato da piccoli. La troupe attraversa Kenya e Tanzania, l'Uganda, le montagne del Ruwenzori, il Sahara, dall'Algeria al Niger, e l'Africa occidentale. In Camerun, vengono scambiati per mercenari coinvolti in un tentativo di colpo di stato, sequestrati e maltrattati (“Non ci hanno riservato un bel trattamento”): il viaggio terminerà nella Repubblica Centrafricana, quando Herzog, colpito prima dalla malaria e poi da una malattia parassitaria, sarà costretto a interrompere le riprese, che si concluderanno nel 1970 a Lanzarote, nelle isole Canarie. Dei tre film, Fata Morgana ha la gestazione più lunga (tanto che Lotte Eisner e Langlois dovettero faticare moltissimo per convincere Herzog a presentarlo a Cannes nel 1971) e stratificata: “Era nato come un film di fantascienza. Avevo una sceneggiatura che parlava di alieni provenienti dalla galassia di Andromeda che atterravano su questo pianeta - ecco il perchè degli atterraggi - e poi scrivevano una relazione descrivendo un pianeta stranissimo, praticamente inabitabile, come il nostro. Poi abbandonavano questa relazione e noi la scoprivamo. A riprese iniziate ho capito ben presto che dovevo accantonare il soggetto fantascientifico e puntare sulla vera sostanza, la qualità visionaria delle immagini” [Idee (e paesaggi) che torneranno, ad esempio, in Apocalisse nel deserto e L'ignoto spazio profondo].
Al progetto di Fata Morgana, con un budget di 170000 marchi, partecipa una troupe di quattro persone: attraversano il Sahara in due mesi, scavano per giorni tra le dune per ottenere sentieri percorribili dall'automobile, sul cui tetto è montata la macchina da presa: Herzog e l'operatore Jörg Schmidt-Reitwein ne sintonizzano i movimenti sul “ritmo del paesaggio” e si lanciano alla rincorsa di limiti e profondità. Racconta il regista: “Giravo questo film e, quasi in contemporanea, Anche i nani hanno cominciato da piccoli. E subito dopo ho girato I Medici volanti dell'Africa Orientale, quindi era come un unico film da suddividere in sala montaggio”.

Meditazione allegorica su un “mondo altro” dilaniato dalla barbarie della colonizzazione occidentale, sul fallimento della creazione, sulla spietata crudeltà della natura, sui confini impossibili tra realtà e illusione, Fata Morgana, suddiviso in tre parti e orchestrato su un triplice registro narrativo (immagini, testo della voce off, musica), tra contrappunti, dissonanze e contrasti di senso, accompagna la visione malinconica di un'Africa in cui l'arrivo del progresso ha seminato soltanto carcasse e relitti, con la lettura di profezie apocalittiche e sardonici aforismi, affidate alle voci di Lotte Eisner [perchè Lotte Eisner? Quando, alla fine del 1974, venne colpita da un ictus, Herzog partì da Monaco di Baviera a piedi per Parigi e la raggiunse dopo un viaggio di quattro settimane: “Non potevo permetterle di morire: lei era troppo importante per me e per la nuova generazione di registi tedeschi dell'epoca. Ci ha legittimato”], alle prese, nella prima parte, con il mito della creazione dei Maya, posto in apertura del Popol Vuh (XVI secolo), il libro sacro degli indios del Guatemala, e poi di Wolfgang Bächeler (Il Paradiso) e del poeta Manfred Eigendorf (L'Età dell'Oro), che collaborò con Herzog anche alla stesura del testo.
Il viaggio in Africa, regno oscuro per eccellenza, pianeta alieno di meraviglie e misteri, visione allucinata di orrori ed estasi, oltre che microcosmo esistenziale (e primordiale) in cui scovare ed evocare la dissoluzione della condizione umana nella negazione di qualsiasi modernità possibile, diviene per Herzog esperienza di ricerca e scoperta, libera e assoluta: senza i condizionamenti e il rigore dell'approccio storico-etnografico, le immagini (la visione) si trasformano in proiezioni fuori dal tempo (e dal senso) di una realtà spietata e crudele, affilate metafore della desolazione del Nulla, in cui anche il passaggio dell'uomo occidentale, seminatore di morte e distruzione, è costretto ad arrendersi di fronte alla supremazia della natura.
Il viaggio dalla Creazione all'Età dell'Oro si compie inevitabilmente, così, nella sublimazione del disordine, del Caos, del nonsense: gli accostamenti tra immagini e testo della voce off, perciò, si colorano ben presto di sarcasmo e amarezza, astraendo la tristezza dalla cornice ambientale e isolandola e reiterandola in lunghe e ipnotiche riprese/successioni panoramiche (le infinite progressioni della camera car) o in simbolici tableaux vivants (dall'uomo con il varano, che indossa lo stesso paio di occhiali da sole utilizzati in Anche i nani hanno cominciato da piccoli, all'ex soldato tedesco e il bambino, fino alla coppia che canta nel bordello di Lanzarote), trasfigurando causticamente l'ascesa verso il Paradiso in un'inesorabile discesa agli inferi.
Da qualsiasi angolazione (storica, analitica, a posteriori) si esamini Fata Morgana, non si può non riconoscerne, per come ne propone e riassume le tematiche più vitali, il peso fondamentale all'interno della filmografia herzoghiana: l'assurdo, filmico e fuoricampo (dalla follia del soldato Stroszek, il protagonista di Segni di vita, che impazzisce, ipnotizzato di fronte a un panorama sterminato di mulini a vento, ad Aguirre, da Fitzcarraldo al Brad McCullum di My Son, My Son, What Have Ye Done: e qui, in Fata Morgana, nella desolazione del deserto, a scovare le follie della civilizzazione. Tutti film nati da progetti estremi - e Aguirre, furore di Dio, La Soufrière [Herzog: “Quella è stata una delle 2-3 volte nella mia vita in cui ho giocato alla roulette russa”], Fitzcarraldo ne sono storici e drammatici esempi - ben oltre le soglie della follia), l'estasi (la macchina da presa in contemplazione sulle dune di sabbia come di fronte ai salti di Walter Steiner), il mistero (dai fantasmi della notte agli ignoti spazi profondi), lo sguardo pessimistico (il fallimento a cui sono sempre destinati i suoi eroici losers, l'ineluttabilità della fine, l'eterno girare su stessa della macchina che non c'è, l'alienazione della modernità, ancestrale retaggio della crudeltà della natura), esorcizzato nell'urgenza, teorica, formale, poetica, della ricerca su immagine e linguaggio [Herzog: “È tutto vecchio: le immagini sono antiquate e non più adatte alla nostra civiltà. È pericoloso se una civiltà non trova un linguaggio adeguato, perchè appassirà, si dissolverà, sarà la sua fine Per questo credo che la ricerca di nuove immagini più adeguate sia essenziale. Quanto meno lo è stato per me”], l'incomunicabilità (da Kaspar Hauser alla lingua incomprensibile, in Fata Morgana, del veterano di guerra cieco).


Il viaggio in Africa, comunque, proseguirà ancora: Herzog, infatti, ci tornerà nuovamente, vent'anni dopo, con Wodaabe: I pastori del sole e Echi da un regno oscuro.

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