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Happy End

Regia di Michael Haneke vedi scheda film

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La recensione su Happy End

di barabbovich
4 stelle

Distopico romanzo di formazione di una tredicenne (Fantine Harduin) che cresce in una famiglia aristocratica francese a Calais, nei pressi di quel mare che restituisce i cadaveri dei migranti. In apertura e in chiusura di film la vediamo in azione col suo smartphone, col quale riprende tanto la prevedibilissima liturgia mattutina della madre, quanto la morte del criceto al quale somministra gli psicofarmaci della donna, così come riprende il tentativo di suicidio del nonno (Trintignant). Quest'ultimo è un ricchissimo vegliardo fiero di avere soffocato la moglie sofferente (il rimando più che esplicito è ad Amour) e che vorrebbe passare anch'egli a miglior vita. Lo vediamo persino fermare per strada, stando a bordo di una carrozzella, alcuni emigrati ai quali chiede la cortesia, così come la chiede al suo barbiere, di procurargli una rivoltella per le sue necessità di autosoppressione. La famiglia si completa con il padre della ragazzina (Kassovitz), un medico compulsivamente fedifrago, sua sorella (Huppert), una imprenditrice edile che ha qualche grana con il crollo del cantiere sul quale sovraintende l'ottuso figlio (Rogowski) e altra umanità sparsa.
A cinque anni dal capolavoro Amour, Haneke licenzia un'opera stanca, manierata, nella quale sembra voler portare al parossismo lo spirito caustico col quale ha raccontato, in passato, l'anima più torbida dell'alta borghesia. Ma stavolta l'operazione sembra limitarsi a ricalcare pedissequamente le trovate stilistiche che caratterizzano il cinema del registra austriaco: riprese in campo lunghissimo in cui non ci è dato capire le conversazioni in momenti topici del racconto, il gioco del punto di vista, l'uso di attori feticcio (Trintignant e la Huppert) radunati per l'occasione, la replica degli stessi temi. Un passo clamorosamente falso in una carriera smagliante.

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