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Youtopia

Regia di Berardo Carboni vedi scheda film

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M Valdemar

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La recensione su Youtopia

di M Valdemar
1 stelle

 

locandina

Youtopia (2018): locandina

 


Youtopica.
Che bruttura. Quasi non ci riesce a credere per quanto è brutto. Un film sballato e sbagliato da qualunque versante lo si osservi, in ogni sua componente, in ogni suo (malriposto) intento.
La gravità del tema, dei temi, caricati di peso dall'attualità – la miseria che porta alla disperazione, il degrado della famiglia e di tutte le istituzioni sociali, il lato oscuro del web, la svendita delle virtù, la fuga dalla realtà, il disagio giovanile, le colpe dei padri – schiaccia come un macigno qualsiasi velleità artistica, svilisce l'impegno di Matilda De Angelis riducendola a mero volto e corpo di una irrilevante statuina piangente, cancella il linguaggio.
Che è manicheo e unidirezionale e cieco: i personaggi vivono in una bolla ideologica precostituita, prefabbricata; ma l'ideologia è il pensierino distratto partorito da un adolescente distratto mentre guarda la (peggior) tv.

Matilda De Angelis

Youtopia (2018): Matilda De Angelis

Donatella Finocchiaro, Matilda De Angelis

Youtopia (2018): Donatella Finocchiaro, Matilda De Angelis

Matilda De Angelis

Youtopia (2018): Matilda De Angelis

E così la storia disegna caratteri e situazioni che rivelano un poverismo di idee sconcertante: il lascivo fa il lascivo, la disperata fa la disperata, la dolente fa la dolente, il tizio di contorno fa da (sgradito) contorno; e gli occhi sempre impiastricciati, le urla sempre urlate, le emozioni sempre spiattellate, le cose sempre descritte, spiegate, ripetute, ammaestrate a uso e consumo dello spettatore tendenzialmente scemo.
Finocchiaro-madonna-sofferente (capace però di fare un costume di Cenerentola in due ore perché «l'ha visto tante volte fare a sua mamma»!) e Haber-borghese-parrucchinato-laido-sudaticcio patetici oltre ogni sopportazione, e non perché restituiscano la pateticità delle figure (dis)umane che interpretano: è che si lanciano in performance imbarazzanti, risibili.
Difficile, d'altronde, fare diversamente con una scrittura così lacunosa e dilettantesca che quasi suscita tenerezza: falle come piovesse(ro lacrime: non sono mai abbastanza), linee e personaggi lasciati andare o messi lì solo per fare numero (il Sassanelli che tiene corsi di “power e motivational fitness”: ma per favore!; gli amici che beccano Matilde/a a spogliarsi in rete; le escort), dialoghi goffi e modesti e molesti, gestione del materiale narrativo così maldestro da gridare vendetta (lacrimando e urlando al cielo e lanciando oggetti dove capita).
Sequenze si accumulano cercando di giustificare la (esistenza della) tesi(na) e l'enfasi retorica, pupazzetti si susseguono cercando di fornire un contesto (la nonna bisognosa di attenzioni fissata coi piccioni; il farmacista dipendente ambiguo che installa il deep web; il pretino probabilmente a sua volta guardone degli spogliarelli on line), siparietti si palesano in tutta la loro sciocchezza (come la figlia “convince” la madre a seguire il suo esempio; la scena della prostituta al citofono: ma sul serio??), le “questioni morali” poste come messaggini scadenti dentro cioccolatini scaduti.
La “svolta” – la decisione di mettere all'asta la propria verginità – è un ulteriore tassello di un ingranaggio che non ha né senso né forma né potenzialità; lo stesso vale per quella specie di “second life” che la protagonista frequenta per incontrare virtualmente il tizio di cui forse è innamorata (scenari fantasy, lingua inglese, sbattimenti sentimentali): come a dire, c'è anche il lato positivo, luminoso, del web.
E vabbè.
Ma se contenuti, sostanza e narrazione sono deficitari (eufemismo), regia e montaggio falliscono il fallibile: la gestione dei tempi è balorda, i tagli sono governati dal caos o dalla fretta o semplicemente dall'incapacità, i primi piani sono una banale scorciatoia.
La coda tragica, inaspettata, grottesca (non volutamente, s'intende) per modi e tempi e disegno, è decisamente troppo.
Che orrore.

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