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Racconto crudele della giovinezza

Regia di Nagisa Oshima vedi scheda film

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La recensione su Racconto crudele della giovinezza

di maurizio73
7 stelle

La rivolta contro il fallimento dei dei padri si risolve in una gioventù allo sbando che sconta nel piccolo crimine una sorta di abbandono sociale e familiare;condannata a dissolversi nel tessuto degradato di una società dove qualunque integrazione è bandita e ogni ideale politico destinato a naufragare con l'ultima debacle della sinistra nipponica

Salita in macchina con uno sconosciuto, l'ingenua e virginale Makoto rischia di essere violentata in un luogo isolato. Le viene in soccorso il giovane e ribelle Kiyoshi che, sotto la minaccia di una denuncia, picchia ed estorce denaro all'occasionale profittatore. Sarà l'inizio di un sodalizio sentimentale che prosegue nel segno di un rapporto morboso e di un'espediente estorsivo che servirà ai due per sbarcare il lunario. Finale tragico.

 

locandina

Racconto crudele della giovinezza (1960): locandina

 

Mai più passaggi da uno sconosciuto!

 

Secondo lungometraggio del giovane critico cinematografico Oshima Nagisa, già esordiente l'anno prima (dopo una breve gavetta alla Shochiku) ne Il quartiere dell'amore e della speranza con una tematica che rifletteva nel piccolo crimine la deriva di una generazione allo sbando, dove il tradimento degli ideali della sinistra, con il fallimento del boicottaggio al trattato di sicurezza nippo-americano, aveva mosso le critiche contro lo Zengakuren, trovando infine una sua dimensione esclusivamente politica (banditi sesso e violenza, vero mortore dell'interesse commerciale del boss Kido Shiro) nell'ultimo Notte e nebbia del Giappone e che fu causa tanto della rottura con la casa della Nuberu Begu, quanto di un ostracismo (una sorta di applicazione del bushido tra le major) che portò l'autore verso soluzioni produttive più autonome nel prosieguo della sua futura e fortunata carriera.

 

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Il quartiere dell'amore e della speranza (1959)

 

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Notte e nebbia del Giappone (1960)

 

Il quadro è quello rivoluzionario e rivoluzionato che investe come uno tsunami il mercato cinematografico giapponese alla fine degli anni '50, dove la diffusione esponenziale degli apparecchi televisivi (la prima trasmissione pubblica della NHK del 1953) aveva raggiunto il 30% delle case giapponesi nel 1960 (con i fratellini di Ohayo che l'anno prima facevano peste e corna in casa reclamandone uno ed aggiornando i fasti di una delle prime piece di Ozu) e la conseguente crisi di settore che aveva portato al fallimento della Shintoto appena l'anno dopo. Ma più di tutto pesavano i rivolgimenti socio-economici e demografici con l'inurbazione delle famiglie e la concentrazione di un pubblico giovane nei centri urbani dove erano collocati i teatri : insomma gli accasati in periferia davanti alla tv ed i numerosi lavoratori single ad affollare le sale cinematografiche in centro. Cio' imponeva necessariamente una ristrutturazione del mercato delle major con un generale rinnovamento degli stili e delle tematiche, il prevalere di sesso e violenza, la contestazione giovanile ed il rinnegamento dei modelli lirici, retorici e sentimentali del realismo edulcorato degli anni '50. Il tayozoku eiga insomma, diventa la testa d'ariete per una rinnovata stagione di successi (picco di affluenza nel 1958 in contrasto con il trend dell'offerta e dei format televisivi, ma con l'inesorabile declino successivo) grazie alla Nikkatsu Action presto copiata da altre case e foriera del progressivo manierismo commerciale di uno spirito che, sebbene animato da una iniziale spinta propulsiva tipicamente autoriale, finisce per risolversi nelle formule di genere del decennio successivo (yakuza eiga e pinku eiga, soprattutto). Questa ondata di rinnovamenti tecnici e stilistici, all'insegna della vitalità di registi giovani ed esordienti, di angoli di ripresa insoliti, di un montaggio sperimentale e di un cromatismo dal forte impatto emotivo, aveva trovato nel cinema di Masumura Yasuzo una coerente applicazione pratica di quel manifesto teorico che lo stesso aveva affidato da poco alla rivista Eiga Hyoron rifiutando, nell'ordine, sentimento, realismo e atmosfera all'insegna di un cinema che esprima il nuovo individualismo giovanile, soprattutto sul versante femminile e che rinnega la rassegnazione muliebre e sociale dei decenni precedenti (donne dall'ego forte e dai desideri incontenibili); ma che venne criticata polemicamente dallo stesso Oshima come frutto di una predica sacrosanta che aveva però inciso solo superficialmente nel rinnovamento effettivo dei modelli precedenti.

 

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Kuchizuke (1957)

 

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Racconto crudele della giovinezza (1960)

 

La rivolta contro il fallimento dei valori della generazione dei padri e contro i guasti del militarismo nipponico, si risolve quindi in una gioventù allo sbando che 'brulica ai margini della legalità' e che sconta nel piccolo crimine una sorta di abbandono sociale e familiare. La contraddittoria innocenza di questa apparentemente torbida condotta estorsiva si rivela l'unico momento di istintiva fiducia nelle proprie risorse fisiche ed emotive, ma segna anche l'inveitabile deriva morale di chi è destinato a soccombere di fronte alle oggettive responsabilità di una strategia scomposta e senza vie d'uscita, dissolvendosi nel tessuto degradato di una società dove qualunque integrazione è bandita ed ogni ideale politico destinato a naufragare nell'ultima debacle storica della sinistra nipponica (le scene di piazza negli inserti documentari - di repertorio -  alla Wakamatsu con la chiara idea di una subordinazione sociale alle imponderabili trame del potere). Anche stilisticamente (gradazioni delle scale cromatiche, movimenti di macchina nervosi e alternanza di campi lunghi e impietosi primi piani) segna questa frantumazione del cemento sociale e la conseguente dissoluzione degli individui che essa contribuiva a tenere assieme. Il sesso in particolare diventa tanto il linguaggio di una rivolta generazionale che si degrada nella promiscuità anagrafica (il giovane sta, presumibilmente per soldi, con una donna più matura) quanto quello di una ribellione sociale senza costrutto e che prova inutilmente a riscattarsi nella costruzione di un legame sentimentale destinato a naufragare, come i suoi derelitti protagonisti, tanto nella deriva di una economia di sussistenza di minimalismo criminale quanto soprattutto nel peso insostenibile di chi non riuscirà a mettere al mondo lo sconsiderato frutto della propria colpa.

 

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Il cupio dissolvi del tayozoku eiga si rivela tanto nella penombra di locali fumosi al ritmo di jazz quanto nel tragico sfruttamento del corpo femminile, vero paradigma di una lotta per la sopravvivenza in cui ribellione e tenerezza non riescono a trovare nessun compromesso utile, segnando l'inesorabile percorso di autoannientamento cui i protagonisti sembravano comunque destinati. Anche la delega della responsabilità genitoriale alla sorella maggiore, segna ormai il punto di svolta di una dissoluzione di quei legami familiari tanto celebrati dai maestri degli anni '50, ma che trovavano già in Fiori d'equinozio e soprattutto in Crepuscolo di Tokyo (anche lì due sorelle diversissime con padre 'single': una legata alla tradizione ma piena di rimpianti, l'altra votata alla ribellione ma condannata alla perdizione) dell'avversato maestro Ozu le loro profetiche ed inevitabili anticipazioni.

 

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Crepuscolo di Tokyo (1957)

 

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Fiori d'equinozio (1958)

 

A ben vedere persino le tanto rinnegate filiazioni con le estemporanee suggestioni della Nouvelle Vague francese (con cui Oshima aveva un legame privilegiato) sono chiaramente rinvenibili nella presa diretta di una ritualità giovanile di corse in moto e gusto del pericolo, quanto nei sovvertimenti sintattici di una frammentazione cronologica che cerca di cogliere la realtà negli imprevedibili risvolti dei suoi molteplici e casuali snodi narrativi. Forse il dialogo finale tra due coppie di amanti di generazioni altrimenti perdenti, separate dall'esile paravento di un lurido ambulatorio medico, suona un po' troppo retorico nell'economia di una storia in cui la dimensione simbolica non aveva comunque travalicato i verosimili confini di una cornice di crudo realismo (la croce del Golgota nella scuola cattolica, il ragazzo che consuma avidamente la mela del peccato al capezzale di chi ha appena abortito un figlio che non poteva mantenere), cedendo alla tentazione di un film a tesi che ne ridimensione in parte la forza eversiva e contribuisce a renderla un'opera inevitabilemente figlia del proprio tempo. Finale crudele e cruento che avvera, nel tragico epilogo di destini incrociati, il senso di giovani esistenze senza scopo nè speranza; poveri corpi martoriati, abbandonati sull'asfalto come vuoti a perdere. 

 

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"Ti sbagli! Non è per questo che siamo diversi da voi!... Noi non abbiamo sogni, ecco perchè non saremo mai come voi"

 

 

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